Forme di vita in Val Borbera

Il Borbera è un torrente che nasce lì dove il monte Chiappo e il monte Antola incrociano gli sguardi. Il suo nome richiama l’antica parola ligure bor, che significa acqua che scorre o fiume, assumendo nel tempo anche le varianti. Bolberia e Bulberia, nonché Burbéia o Borbëa in ligure, e Borbaja in piemontese. La sua sorgente è un luogo di incontri, dove un tempo transitava la cosiddetta “Via del Sale”, che dalla pianura scendeva al mare. Inoltre, la posizione del Chiappo fa sì che chi vi sale in cima, possa – oscillando nell’una o nell’altra direzione – trovarsi al contempo in Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte. Ancora in Piemonte, ma affacciato sulla Liguria, si trova invece il monte Antola, il cui nome sembrerebbe derivare dal greco ἄνθος (anthos, fiore), in virtù delle spettacolari fioriture primaverili.

arnica
Fioritura di arnica sul Monte Antola (foto A.Federici), da Wikipedia. Di AleSlaves – Opera propria, CC BY-SA 4.0.

Quattro regioni, quattro dialetti, “Quattro province” – Alessandria, Genova, Piacenza, Pavia, come si trova indicato già nei testi di etno-musicologia degli anni Settanta – e un patrimonio comune di musica e cultura popolare.

La val Borbera sorge qui, su un territorio di confine – un’area liminale – come quelle in cui si può assistere a fenomeni sulla soglia della percezione e del paranormale. La vita permea innanzitutto le forme della val Borbera, al punto da far assumere un volto e conferire identità alle rocce: ad esempio “l’Indiano“, detto anche “il gigante” o “il Nasone” (foto in copertina), che se ne sta lì, quieto e impassibile, a osservare i villeggianti nell’area di Boscopiano, in mezzo a (incredibile senza vederle con i propri occhi) le pareti dei canyon, che qui portano il nome de “le Strette”. All’imboccatura della stretta, invece, potete scorgere la sagoma di Shri Ganesha con la sua lunga proboscide “a sorveglianza del passaggio” – come racconta Irene Zembo, guida ambientale e geoturistica della zona (foto sotto).  

Ganesh
la sagoma di Shri Ganesha, il Dio elefante, nelle gole delle strette

In più, sembrerebbe non essere un caso dunque, che nella valle siano incastonati sette borghi “fantasma”: Rivarossa, una frazione di Borghetto di Borbera, con Avi, abbandonata a Roccaforte Ligure – entrambe strategiche durante la resistenza partigiana – poi Camere Nuove, sola a Mongiardino Ligure, Conno Vecchio, Chiapparo, Ferrazza e Reneuzzi, organi vuoti di Carrega Ligure, e infine Piani di Celio, porzione disabitata di Rocchetta Ligure. Le storie di fantasmi però, non si limitano agli avvistamenti, come quello del giovane defunto Davide Bellomo, che negli anni Sessanta uccise la fidanzata e poi si sparò, nel periodo in cui i paesi iniziavano a spopolarsi, vittime dell’attrazione popolare verso la vita nelle città. Non è nemmeno l’atmosfera pesante, lugubre, malandata, carica di detriti, lasciata da una presenza umana sempre più rarefatta, che nel tempo ha lasciato spazio ad animali selvatici, leggende, rumori e racconti. 

Tutta la valle, infatti, pare animata da una vita altra, che ha generato non solo un ricco patrimonio di folklore, ma ha anche conferito un senso di sacra spiritualità a questi luoghi, tanto che – forse  proprio per questo – sono stati scelti dalla Comunità Internazionale Sahaja Yoga, insediatasi negli anni ’90 a Palazzo Doria, a Cabella Ligure. Il piccolo paese si è tramutato quindi in una meta di pellegrinaggio, sottraendosi al progressivo abbandono che stava svuotando i comuni della zona. Nel grembo della valle hanno iniziato così a risvegliarsi concerti, raduni e festival, o meglio “meeting” incentrati sul tema della meditazione. Se è vero che questo risveglio è stato accusato da molti come una “distorsione” dell’identità culturale della valle, in realtà sembrerebbe che i riti della Comunità Sahaja Yoga abbiano trovato qui, in un ambiente ormai per lo più dominato dalla pietra e dalla vegetazione, dalle memorie e dalla natura, un luogo accogliente e pronto a ospitarli.

Inoltre, a rafforzare l’inseguimento – e il successivo incontro – fra le nuove “tradizioni” e quelle storiche, negli ultimi anni è nato un rapporto di collaborazione fra alcuni gruppi della comunità Sahaja Yoga e i valborberini, finalizzato a ridare vita alla valle, generando così ulteriore ricchezza folkloristica e culturale. Sono stati organizzati, ad esempio, festival musicali e spirituali, e mercati contadini itineranti: questi ultimi in particolare hanno permesso la nascita di una nuova “manifestazione di vita” nella frazione di Vendersi ad Albera Ligure.

Manlio, foto di Germana Bellotti.
Signor Gustavo, foto di Germana Bellotti.

Infatti, se in precedenza il ruolo dei fantocci di paglia si limitava a quello di attirare l’attenzione sugli eventi organizzati in paese, a giugno di quest’anno (mentre tutti gli umani erano costretti al “distanziamento sociale” a causa della COVID-19), sono riusciti a ottenere un loro primo “raduno ufficiale”. Pioniere è stato Manlio, un contadino dal cuore di paglia lasciato a guardia delle coltivazioni. Nonostante gli attriti di cui sopra, palesatisi quando i proprietari dei campi hanno cercato di cacciare Manlio gettandolo a terra, in un angolo abbandonato, alla fine lo spaventapasseri si è rialzato, e in inverno è stato raggiunto prima dalle contadine Delfina e Matilde, poi da altri loro simili, ciascuno con un proprio nome e una propria personalità.

Dunque, sarebbe insensato – in una fucina di incontri e crocevia come appunto è la val Borbera – parlare di una singola identità “distorta” da nuove, e comunque rarefatte, popolazioni: la valle è sempre stata meticcia, pluralistica, aperta alle contaminazioni raccolte lungo il corso del torrente di cui porta il nome. E in effetti, ripercorrendone la storia, è possibile rintracciare simili forme di mistica e trascendenza pagana. Accompagnate dal suono della fisarmonica e del piffero – che di questi luoghi sono gli strumenti tradizionali – si narrano vicende non soltanto di fantasmi – come descritto sopra – ma anche di creature fantastiche, come il Cangalo. Proprio a Cabella Ligure infatti, i vecchi parlano di uno strano avvistamento, avvenuto verso la fine degli anni Ottanta (quindi poco prima che arrivasse la Sahaja Yoga); di episodi simili in realtà, si narra da molto prima, dall’inizio del secolo, quando nella notte ci si proteggeva dall’altro, dal fuori, sprangando porte e finestre. Chi invece osava addentrarsi nei boschi, tornava raccontando di aver visto qualcosa: si dice che quel qualcosa si mostrasse solamente nelle giornate di vento, di nebbia o temporale, e che fosse metà uomo e metà bestia. Una figura tozza, ricoperta di un pelo rossastro, che lasciava scoperta l’irta spina dorsale; soltanto il cranio era pelato, rendendo ancora più evidente l’enorme bocca e i denti appuntiti, affilati come i suoi artigli. Pare che il Cangalo fosse velocissimo, oltre che carnivoro: un cacciatore di tartufi va addirittura raccontando di aver visto il suo cane sparire, rapito dalla creatura.

Di recente, pare che i cercatori di funghi abbiano visto il Cangalo aggirarsi fra i boschi di faggio e di castagno delle valli: troppo veloce però, per poterlo immortalare in una foto.

LA FITOTERAPIA POPOLARE

In val Borbera comunque, non tutti i racconti tramandati dagli anziani hanno una trama così inquietante. Fino a quasi la fine degli anni Ottanta infatti, gli abitanti custodivano un’antica tradizione di fitoterapia popolare, oggetto di una ricerca del professor Enrico Martini dell’Istituto Botanico Hanbury dell’Università di Genova. Fra miscugli, erbe, sostanze e rimedi, sono state contate 83 “ricette”, diffuse soprattutto nei centri di Volpara, Figino, Cadisi e Carrega Ligure. Fra queste, nove specie erano del tutto nuove alla fitoterapia moderna in Italia: Ostrya carpinifolia, Dianthus seguieri, Sedum anacampseros, S. reflexum, Cytisus sessilifolius, Linum viscosum, Anthemis altissima, Carduus litigiosus, Centaurea alpestris; ad altre quattordici specie invece, i borberini attribuivano proprietà mai documentate prima di allora dai ricercatori, arricchendo le conoscenze in campo fitoterapico: Pteridium aquilinum, Quercus pubescens, Dianthus carthusianorum, Onobrychis viciifolia, Fraxinus ornus, Stachys recta subsp. recta, Origanum vulgare, Ocimum basilicum, Sambucus nigra, Artemisia absinthium, Centaurea scabiosa, C. nigrescens subsp. nigrescens, C. uniflora subsp. nervosa, Allium sativum.

Nei vuoti lasciati dallo spopolamento quindi, la val Borbera continua a vivere: tramite le sue leggende, tramite le vibrazioni che attraggono nuove popolazioni, e parallelamente rianimano le “vecchie”; continua a vivere nelle sue forme eccezionali, fra canyon e “Indiani di roccia”, così come nei poteri (seppur immaginari) delle sue piante.

BIBLIOGRAFIA & altre fonti: 

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Alice Tarditi

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