Deposito nazionale nucleare, prima di parlarne bonifichiamo le bombe ecologiche che già abbiamo

Cerco di ragionare con calma, all’indomani della notizia sulla possibile ubicazione del deposito nazionale delle scorie nucleari qui dalle nostre parti.

Innanzitutto, credo che il governo abbia fatto bene a de-secretare il documento. Un documento che era pronto dal 2015 e che finora nessuno aveva avuto il coraggio di tirarlo fuori. Inoltre, personalmente, credo che il “segreto di stato” si debba usare il meno possibile. 
Il progetto prevede di radunare tutte le scorie disperse nella nazione (parliamo di 78mila metri cubi) in condizioni precarie in un unico luogo, iper-tecnologico e iper-protetto. Una tomba garantita 300 anni da lasciare in eredità ai nostri nipoti e bis nipoti. Un bel problema, ma sempre meglio che lasciare in eredità rifiuti dispersi in centinaia di impianti abbandonati. Perché adesso i rifiuti ci sono già, e ci sono anche a Bosco Marengo, dove c’è l’impianto delle Fabbricazioni Nucleari. Il 70% dei rifiuti radioattivi sono già in Piemonte. 

Probabilmente siamo tutti d’accordo che la situazione migliore è raccogliere tutta questa porcheria in un unico posto sicuro e sorvegliarlo bene, piuttosto che lasciarla parcellizzata in tanti piccoli depositi. 

Un conto però è dire che serve un deposito nazionale, un conto è dire che bisogna farlo vicino a casa nostra. In ogni territorio possibile individuato, è scattata come prevedibile la sindrome di Nimby ( acronimo inglese per Not In My Back Yard, Non nel mio giardino). 

Basta cercare in rete e si vede che subito sono nati in ogni possibile sito comitati per il no. 

Unica voce fuori dal coro quella del sindaco di Trino, il leghista Daniele Pane. Sebbene il suo comune non sia tra i 67 siti possibili indicati dalla Cnapi, il sindaco ha candidato lo stesso il suo paese a ricevere il deposito. Trino, che con Saluggia di fatto è già il deposito nazionale “de facto”, visto che in via temporanea (ma da moltissimi anni) ospita gran parte del nucleare italiano, non disdegnerebbe l’ipotesi. «Piuttosto che rimanere in questo stato di provvisorietà preferirei ospitare il deposito definitivo con tutti gli standard di sicurezza e i crismi del caso», ha dichiarato Pane, e a dargli ragione c’è il suo segretario nazionale Matteo Salvini.

Il sindaco di Trino Daniele Pane il deposito nazionale lo vuole

La Cnapi (Carta nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee alla localizzazione del Deposito Nazionale dei Rifiuti Radioattivi) redatta dalla Sogin che ha portato all’individuazione dei siti prevedeva 15 condizioni di esclusione dei siti possibili, tutte ampiamente condivisibili. 

Vediamone qualcuna: 

  • “Sono da escludere le aree vulcaniche attive”. Mi sembra ovvio che non si faccia il deposito sotto un vulcano. 
  • “Sono da escludere le aree contrassegnate da sismicità elevata”. Ovvio anche questo. Solo buon senso. 
  • “Sono da escludere le aree ubicate ad altitudine maggiore di 700 m s.l.m.”. Ovvio che non lo facciamo in montagna. 
  • “Sono da escludere le aree sino alla distanza di 5 km dalla linea di costa”. Vuoi mica farlo al mare? 

Insomma, escludi qui, escludi là, di posti adatti ce ne sono pochi. Per non parlare del criterio di approfondimento numero 11 che afferma che per la scelta del luogo bisogna valutare con attenzione le zone con «produzioni agricole di particolare qualità e tipicità e luoghi di interesse archeologico e storico». Quasi impossibile in Italia. 

Dalle nostre parti ne parliamo molto perché tra le localizzazioni con il miglior punteggio ce ne sono 6 in provincia di Alessandria, ed una è indicata nel sito che ospita l’ex Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo. 

Parliamoci chiaro: la nostra zona non è un paradiso naturale incontaminato. Abbiamo l’amianto a Casale, A Spinetta c’è il buco nero della Solvay, che più indaghi più porcherie trovi. A Serravalle c’è l’ex Ecolibarna, che da 40 anni aspetta di essere bonificata. Ad Arquata c’è la ex Subalpina. Per non parlare dei cantieri del terzo valico, o dei 477 metri cubi di rifiuti nucleari che già sono stoccati alle Fabbricazioni Nucleari. Insomma, questo territorio dal punto di vista ambientale ha già parecchi problemi. 

Ho sentito un po’ di discussioni che reputo inutili, perché parlano del passato. La colpa è di chi ha fatto le centrali nucleari, dice qualcuno. No, la colpa è di chi ha votato sì al referendum del 1986, dice qualcun altro. Con la dietrologia non se ne esce, sono discussioni inutili. Anche perché parliamo anche di rifiuti di origine medica. 

Oggi pomeriggio in Alessandria c’è una assemblea pubblica promossa dal Laboratorio Sociale, già attivo contro il terzo valico ferroviario, dal titolo “No al deposito nucleare né qui né altrove”. “Il problema non è dover costruire a ogni costo un deposito nazionale nucleare unico. Il problema è mettere in sicurezza le scorie laddove non lo sono e spostarle solo se la messa in sicurezza non è possibile”, dicono sulla loro pagina Facebook. Il problema quindi resta: il deposito non s’ha da fare, e le scorie restano dove sono. 

Io credo che la discussione deve essere portata sul piano tecnico, dai tecnici. Quanto sarà sicuro il deposito? Quanto lo sarà nel momento della ua costruzione? Quanto lo sarà 10, 20, 100 anni dopo?
Non ho molti dubbi sul fatto che la tecnologia attuale ci possa permettere di fare tutto in sicurezza, e che noi italiani siamo in grado di farlo. Non dimentichiamoci che l’energia nucleare l’abbiamo inventata noi (mai sentito parlare di Enrico Fermi?).

La domanda che dobbiamo farci, per uscire dalla sindrome di Ninby, è quale sia il posto migliore per realizzare il deposito. L’idea di localizzarlo in un luogo dove comunque esiste già uno stoccaggio di rifiuti nucleari (come ad esempio Bosco Marengo, o Trino) non è peregrina. 

Il problema è che qui da noi abbiamo già parecchia porcheria in giro. Ad esempio a Serravalle, dove da 40 anni si attende la bonifica di Ecolibarna. Per non parlare di quello che c’è sotto la Solvay a Spinetta. Siamo sicuri che il deposito sia potenzialmente più dannoso alla salute che l’impianto Pfas a Spinetta in via di ampliamento? Siamo sicuri che l’idea leghista di costruire a Novi un termovalirizzatore sia meno impattante del deposito, tenendo presente che da noi non produciamo abbastanza rifiuti per farlo funzionare e che dovremmo importarli da altre zone (leggi Liguria)?

Viene da dire: abbiamo già dato. Che per contro potrebbe significare andare a cercare un posto dove non ci sono problemi ambientali preesistenti? 

E’ sensato pensare che per i territori in cui verrà costruito il deposito arriveranno della compensazioni economiche. Come per il terzo valico. Cercando di fare in modo che non finisca – appunto -come i 49 milioni delle compensazioni del terzo valico, che i disastri li abbiamo avuti a Voltaggio, Carrosio, Arquata, Novi e poi la fetta più grossa è andata per fare un ponte ad Alessandria, grazie alla cordata dei sindaci leghisti.

Tipo che per il disagio del centro nazionale delle scorie nucleari a Bosco, come compensazione rifanno il porticciolo di Camogli. 

In questo momento è facile dire no al deposito. E’ facile e probabilmente rende anche elettoralmente, con tanti partiti e sindaci che si oppongono ovunque. Ma da qualche parte questo deposito dobbiamo farlo, non mi pare che ci siano alternative. Lo dimostra la posizione della Lega, che da un lato accusa il governo di aver fatto la carta delle localizzazioni (omettendo di dire che questa nasce da una legge approvata quando al governo c’erano loro), e dall’altro difende il sindaco di Trino che l’impianto lo vuole. E’ troppo facile strumentalizzare la giusta preoccupazione della popolazione, e in questo spesso la politica italiana è maestra, nell’arte di soffiar sul fuoco senza prendersi la responsabilità di dare risposte reali a problemi reali.

Allora, anziché dire no senza se e senza ma, forse bisogna cominciare a ragionare, qui come altrove. Ad esempio, qui da noi potremmo chiedere, oltre a tutte le garanzie di sicurezza dell’impianto e dei controlli, la risoluzione dei problemi che già abbiamo. E con problemi parlo di Ecolibarna, di Solvay, di Subalpina, di eternit. Una volta che quei problemi sono risolti, ne possiamo parlare. Bonifiche ferme da decenni che forse costano più che costruire il nuovo deposito, ma che – secondo me – devono essere fatte prima di parlare di qualsiasi possibile nuovo insediamento.

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andrea vignoli

Giornalista, scrittore, insegnante.

2 commenti su “Deposito nazionale nucleare, prima di parlarne bonifichiamo le bombe ecologiche che già abbiamo

  1. Purtroppo l’unica cosa che mi viene da pensare è questa: se in 40 anni non è stato possibile risolvere i problemi di bonifica di Ecolibarna, Subalpina, Solvay Eternit con milioni di Euro buttati al vento con quale fiducia e garanzia si possa dire si al deposito di scorie nucleari, verra fatto veramente in sicurezza sarà controllato a dovere, sinceramente ho molti dubbi non sulla tecnologia che magari c’è ma sulle persone che vi opereranno.

  2. Non è facile leggere qualcosa di assoluto buon senso. Certi problemi vanno risolti e non si risolvono con la retorica.
    Vanno affrontati in un contesto di salvaguardia dell’interesse di tutti e non a discapito di altri. Il detto fate quello che volete ma lontano da casa mia non vale, non per certi rifiuti. Soprassedere serve solo a spostarlo nel tempo con i rischi conseguenti. Il suggerimento dell’autore , di bonificare il territorio va tenuta in debita
    considerazione e la regione, invece di sbraitare contro il governo, si attivi per studiare le considerazioni tecniche per il rifiuto e se non sono convincenti , cominci a chiedere la bonifica dell’esistente. Una bonifica reale .

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