Per la Pace servono mille marce

Stiamo vivendo un’epoca in cui l’egoismo, l’opportunismo e l’indifferenza verso chi soffre prevalgono su qualsiasi altro sentimento di umanità e solidarietà. È una condizione sociale in cui le cosiddette democrazie civili confinano le popolazioni nel sistema neoliberista; siamo costretti, nostro malgrado, a una condizione di predominanza egoistica per mantenere la posizione sociale e un percorso di vita decoroso, mentre i più disagiati sono confinati a un livello di mera sopravvivenza.

Il meccanismo è semplice quanto impositivo: basta far correre l’inflazione più delle retribuzioni e, automaticamente, ci si impoverisce, lentamente e inesorabilmente. La vita diventa come quella del leone e della gazzella: la gazzella sa che ogni giorno deve correre un po’ di più per sfuggire al leone, mentre il leone deve raggiungerla per sopravvivere. È una riflessione terribile, ma purtroppo rispecchia la vita nel contesto dell’odierno neoliberismo, dove è il mercato a imporre il ritmo di vita.

Questo sistema poteva avere una sua valenza quando le nazioni più progredite, cosiddette libere e democratiche, approfittavano della ricchezza delle nazioni considerate arretrate e incivili. Tuttavia, nell’epoca attuale, sia per la globalizzazione dei mercati, sia per la diffusione delle informazioni tramite i media e l’evoluzione tecnologica, appropriarsi delle risorse altrui è diventato molto più difficile.

Siamo in competizione con paesi emergenti, le cui strutture civili sono agli albori. Questi paesi, con necessità di vita semplici e scarsi sostegni pubblici, consentono di produrre a costi molto inferiori. Da qui la necessità, per gli stati occidentali, di cedere alle privatizzazioni gli enti che hanno contribuito all’evoluzione sociale, come sanità, scuole, elettricità, poste, ecc., scaricando gradualmente sull’utente l’onere dei costi e impoverendo ulteriormente la società.

Tutto ciò, tuttavia, non è sufficiente. L’Occidente deve continuare in qualche modo ad avere risorse vitali a buon mercato per mantenere uno stato di egemonia globale. Per ottenerle, non esita a fomentare colpi di stato, attentati e guerre. Attualmente sono attivi circa sessanta conflitti di piccole, medie e grandi dimensioni.

È notizia di questi giorni che il Parlamento europeo ha votato a favore della continuazione della guerra tra la Federazione Russa e l’Ucraina. Si tratta di un grosso conflitto, che potrebbe portare a terribili conseguenze se non prevalesse il buon senso e si perdessero il controllo e la lucidità nelle valutazioni. Le motivazioni che hanno spinto all’approvazione di questa risoluzione non possono essere semplicistiche, come ci viene raccontato dai nostri governanti. Non sono degli ingenui guerrafondai, probabilmente sono degli astuti opportunisti.

All’origine esiste una ragione di fondo, e al di là delle giustificazioni di facciata, queste non possono essere puerili, come “invaso e invasore” o “difendere l’indipendenza e la democrazia”. Queste sono belle parole a livello retorico, che fanno leva sullo sdegno per eccitare i popoli alla guerra, ma non menzionano le reali motivazioni, di natura economica e di supremazia globale.

Il 21 settembre abbiamo celebrato la Giornata Internazionale della Pace, istituita dalle Nazioni Unite nel 1981 per opporsi alle guerre tra le nazioni e promuovere ideali di pace e solidarietà tra i popoli. La marcia di Assisi è uno degli eventi più coerenti ed efficaci per diffondere questo messaggio a livello mondiale, anche se i potenti tendono a non ascoltarlo.

La pace è soprattutto una condizione ideologica, un’educazione mentale. La cultura dei diritti civili e della giustizia sociale deve essere coltivata e considerata una condizione primaria e insostituibile per garantire una pacificazione universale, superando quello che è il vero mostro dell’umanità: l’ingordigia del possesso, della sopraffazione e del potere.

Il genere umano, inconsciamente, è guidato da questo mostro egoistico latente, che è sempre in agguato. Anziché creare condizioni per contenerne gli effetti negativi, si facilitano le sue ambizioni con strumenti legislativi, come la legge sull’autonomia differenziata, che ne amplifica le conseguenze.

La guerra assorbe risorse gigantesche. Si provi a immaginare quante opere civili si potrebbero realizzare, quanti posti di lavoro si potrebbero creare e quante sofferenze si potrebbero alleviare con una minima parte di queste risorse. Le condizioni atmosferiche diventano sempre più estreme: pochi giorni di caldo causano siccità, mentre pochi giorni di pioggia generano alluvioni, frane, distruzioni e vittime. Basterebbe una piccola parte delle risorse destinate alla guerra per realizzare invasi e condotte che permettano di incanalare l’acqua piovana e utilizzarla nei periodi di siccità, salvaguardando il territorio e vite umane.

Viviamo in un’epoca interconnessa, ma profondamente diseguale. Lanciamo grida di guerra e stanziamo enormi risorse per difendere un paese che vogliamo accogliere, mentre biasimiamo il nostro antagonista, al punto che ci ritroviamo, volenti o nolenti, in uno stato di belligeranza. Dobbiamo sperare che la leadership a cui ci opponiamo non passi ad azioni più cruente, scatenando l’apocalisse.

D’altro canto, rimaniamo sordi e silenti quando un paese vicino al nostro sistema attacca con spudorata violenza e crudeltà un popolo praticamente indifeso, in spregio ai più elementari sensi di umanità. C’è da essere orgogliosi dell’ipocrisia della nostra civiltà.

La Giornata della Pace dovrebbe farci riflettere e spingerci a inviare un accorato appello ai nostri governanti, esprimendo tutto lo sdegno di un popolo ricco di storia, arte e civiltà, affinché questo diventi un fiume in piena che travolga tutti coloro che inneggiano alla guerra. Bisognerebbe promuovere mille marce della pace, imitando quella di Assisi, affinché tornino la ragione e il buon senso.

Nota: l’immagine a corredo dell’articolo è stata creata da una IA dopo che lo ha letto.

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Francesco Giannattasio

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