Gli Unti del Signore

È il 25 novembre del 1994 quando Berlusconi, durante un comizio, si presenta come “l’unto del Signore“: «...chi è scelto dalla gente è come unto dal Signore: c’è del divino nel cittadino che sceglie il suo leader».

Sempre Berlusconi durante il meeting di CL nell’agosto 2006 racconta: ”Don Giussani mi disse: ‘il destino ti ha fatto diventare l’uomo della provvidenza’” e continua: «Mi diede un aiuto importante nella scelta di lasciare tutto ciò che mi piaceva come la mia professione per dedicarmi a qualcosa di completamente diverso come la difesa della libertà».

Il paragone con “il figlio di Dio” declinato nella perifrasi “l’uomo della provvidenza” ha origini ben più lontane, ha attraversato i secoli, gli anni, i governi, per riemergere nella politica contemporanea.

L’unzione come rito di consacrazione ha origine nell’antichità romana, quando l’imperatore iniziava ad essere considerato una figura sacra, strumento della provvidenza divina e non più un eletto tra il popolo e dal popolo: l’olio, già simbolo di purificazione, assunse un significato centrale nella legittimazione del potere imperiale.

Il rito dell’unzione fu, poi, ripreso e adattato dalla Chiesa cattolica per rafforzare il proprio ruolo nel conferimento dell’autorità ai nuovi sovrani germanici che cercavano nella Chiesa una legittimazione per il loro potere.

Un momento cruciale è stato l’incoronazione di Carlo Magno nell’800 da parte di papa Leone III. In quell’occasione, l’unzione con olio sacro è divenuta un simbolo chiave della consacrazione regale, sancendo l’autorità del monarca come derivante dalla grazia divina. 

Non può passare inosservato quanto negli ultimi mesi il richiamo alla provvidenza e alla grazia divina sia stato particolarmente invocato dai leader dei paesi più potenti come fonte del proprio mandato politico.

Nell’America di Trump tale eco assume la sfumatura tipica della teoria della predestinazione calvinista. Da qui lo slogan “Make America Great Again”: il leader in quanto uomo di successo saprà portare ricchezza alla nazione perché è l’Eletto e Dio lo ama. 

Nel suo primo discorso di insediamento, Donald Trump ha evocato l’attentato subìto in campagna elettorale: «Dio mi ha salvato per far sì che l’America possa ritornare grande. L’età dell’oro comincia adesso».

Del resto è stato di un certo impatto visivo lo scatto da “Ultima cena” nello Studio Ovale che fissa un momento di raccoglimento del leader americano circondato da pastori di varie congregazioni, in occasione dell’istituzione presso la Casa Bianca di un “Ufficio della Fede” affidato alla telepredicatrice Paula White, consulente spirituale dello stesso Trump.

Più recentemente la prima riunione di gabinetto del Consiglio dei Ministri americano è stata preceduta da una preghiera dell’ex pastore Scott Turner, nominato da Trump come “Segretario della Casa e dello Sviluppo Urbano degli Stati Uniti d’America” durante la quale l’ex pastore ha ringraziato «Dio che ci hai dato Trump».

Ma la gara degli unti del Signore non vede confini.

Pochi giorni fa il presidente russo Vladimir Putin, durante una cerimonia di conferimento di onorificenze militari in occasione della Giornata dei difensori della patria e alla vigilia del terzo anniversario dell’invasione dell’Ucraina, ha dichiarato «Il destino ha voluto così, e così ha voluto anche Dio, se così posso dire: difendere la Russia, una missione difficile quanto onorevole è stata piazzata sulle mie e le vostre spalle, insieme». Qui l’unzione si modula con connotati di oligarchia tipici della Russia putiniana.

Le parole come diceva Moretti sono importanti, soprattutto quelle usate dai leader di governo durante i loro comizi ufficiali, pertanto la scelta di presentarsi quali “unti del Signore” non può essere, per così dire, ‘incidentale’.

Invocare l’investitura divina quale fonte del proprio potere temporale ha lo scopo ben preciso di delegittimare il processo laico e democratico di elezione del leader che invece si basa sull’equilibrio dei poteri e sulla perdurante sottoposizione delle decisioni dei capi di governo al rispetto delle norme e al controllo giurisdizionale.

L’unto del (e dal) Signore per definizione non è stato scelto dal popolo, ma direttamente dal divino, pertanto non è vincolato al rispetto delle leggi della Terra ma solo a quelle del Signore. Conseguentemente l’unto del Signore non è neanche sottoposto ad alcun giudizio terreno ma solo a quello divino; le sue decisioni e i suoi ordini non necessitano di procedure da rispettare o di contrappesi, ma possono essere repentini, ingiustificati, apodittici, insindacabili.

I totalitarismi e i populismi spesso si esprimono con un utilizzo non casuale delle parole.

La filosofa spagnola María Zambrano, esiliata durante la dittatura di Francisco Franco, diceva che il Potere usa la lingua come strumento di dominio. 

Il rischio che vedo è in una sorta di assuefazione ad un certo linguaggio, ad una certa violenza verbale che spesso precede ed è prodromica a quella fisica, alla veicolazione di concetti e brutture che sembravano allontanati dalle nostre democrazie, come se gli anticorpi sviluppati dopo la seconda guerra mondiale si fossero ormai irrimediabilmente indeboliti.

Riconoscere la scelta strumentale delle parole (e di certi gesti), non banalizzare o ridicolizzare tale scelta, non ridimensionare il rischio insito in certi discorsi, scandalizzarci per certi video osceni che speculano sulla morte di innocenti, sono le prime forme di resistenza che siamo chiamati ad esercitare e a condividere, anche collettivamente, per poterci dire ancora liberi.

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Teresa Mantero

Un commento su “Gli Unti del Signore

  1. Grazie Teresa per questo articolo che ci fa ripassare un po’ di Storia e riflettere sul lessico politico odierno.

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