Polli d’allevamento, ma con gentilezza

«Siete polli di allevamento», dice spesso un mio compagno di partito, riferendosi alla mia generazione politica locale, cresciuta negli anni ’80 e accusata oggi di essere troppo remissiva, troppo educata, troppo poco incline a sostenere il conflitto. Ci ho riflettuto, e sono arrivata alla conclusione che sì, sono un pollo d’allevamento. E sono orgogliosa di esserlo.

Perché vedete, oggi la gentilezza è considerata un difetto. Gentilezza è sinonimo di debolezza.

Chiedere per favore, far passare alla cassa la persona dietro di te che ha solo un acquisto, non suonare il clacson quando si è in coda per un incidente, cercare il dialogo senza sopraffare l’altro, chiedere scusa quando si pensa di essere in difetto (potrei andare avanti)… sono tutti segni oggi considerati di fragilità, di insicurezza.

La gentilezza oggi viene vista come un arretramento della propria personalità, un’incapacità di far valere sé stessi. Essere gentili, diciamolo, è essere sfigati.

Lo pensano anche i potenti: basta leggere i giornali per capire che oggi la prepotenzail bullismola presa in giro dei più debolila sopraffazione, sono di gran moda.

Ma più semplicemente, basta entrare in un parco giochi, dove — se insegni a tua figlia ad aspettare il suo turno per l’altalena — lei non riuscirà a salirci perché gli altri la spingeranno via. Oppure basta andare sugli spalti a una partita di bambini, dove gli insulti dei genitori sono considerati normali, perché lo sport — che dovrebbe insegnare ai nostri figli l’inclusione e la gentilezza — si è trasformato ormai in luogo di sopraffazioneesclusione ed emarginazione dei più deboli.

Quindi sì, sono orgogliosamente un pollo d’allevamento. E sto cercando di insegnare ad esserlo anche a mia figlia. Sto cercando di insegnarle a essere gentile con tutti, a non rispondere agli spintoni con altri spintoni, ad ignorare i bulli e a compatirli, perché spesso sono solo bambini infelici.

Sto cercando di insegnarle che la gentilezza non è altro che un modo per aprirsi agli altri, per mettersi in relazione con il prossimo. Perché accettare gli altri, magari facendo noi un piccolo passo indietro, è l’unico modo che abbiamo per costruire relazioni arricchenti, anche per noi stessi.

E poi, perché se si è intelligenti non è necessario essere prepotenti.

«Io non conosco nessun altro segno di superiorità dell’uomo se non quello di essere gentile».
(Ludwig van Beethoven)


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Paola Cavanna

2 commenti su “Polli d’allevamento, ma con gentilezza

  1. Polli d’allevamento? Siamo sicuri che i polli d’allevamento siamo noi? Non lo saranno quelli che vengono “educati” attraverso i social dove ci si insulta senza conoscersi, film, serie TV e giochi on line dove c’è un solo unico minimo comune denominatore: la violenza e la sopraffazione verso i più deboli, la famiglia che lascia ad altri il compito di educare i propri figli salvo poi inveire contro gli educatori stessi e contro chi cerca di dare una parvenza di umanità alla nostra povera (di spirito) società.
    Io penso che noi siamo, magari polli d’allevamento, ma liberi di godere della natura e di spazi (anche mentali) che ci fanno crescere con idee e pensieri. Insomma saremo anche polli, ma allevati biologicamente. Loro sono solo galli da combattimento manovrati da altri che li fruttano fino alla fine e che possono uscirne solo con le “penne” rotte.

  2. Per la verità nel gergo della politica la definizione “polli d’allevamento” nulla ha a che fare con la gentilezza. In realtà si sono sempre chiamati così gli yes men/women, selezionati in giovane età e fabbricati dal partito con lo scopo di essere funzionali sempre e comunque ai desideri e agli indirizzi della elite di potere, dei capibastone. Roba artificiosa, scelta per assenza di senso critico, utile finché serve, pagata con pochi spicci, un incarichetto qua, uno stipendio pubblico là, posti mai di primo livello nelle amministrazioni… Il requisito principale? Fedeltà assoluta, ad ogni costo, nella speranza un giorno di fare “carriera” e arrivare al massimo traguardo possibile: essere un capobastone.
    Questo è il percorso di selezione della politica, da troppo tempo. La qualità non trova posto. E si vede bene ad ogni livello.

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