Oggi ricordiamo Peppino Impastato, ucciso 47 anni fa dalla mafia

Oggi è il 9 maggio e non è solo una giornata di commemorazione, ma è una giornata per  ricordare che la battaglia non è ancora finita. Ricordare il giorno del brutale omicidio di Peppino Impastato è un atto di giustizia sociale e politica, questo significa a non limitarsi con commemorazioni simboliche, ma raccogliere un’eredità di lotta da rilanciare nel presente.
Peppino fu ucciso dalla mafia la notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978. Aveva solo trent’anni. Lo trovarono fatto a pezzi su una linea ferroviaria, e per anni   si cercò di nascondere la verità, di farlo passare per terrorista, per folle, per vittima di un destino oscuro e individuale.
Ma Peppino non era solo. E non era un caso isolato. Era un militante. Era un compagno. Era parte di un movimento.
Un movimento che sapeva che la mafia è sistema di potere. Un movimento che univa la lotta alla criminalità organizzata alla lotta per i diritti sociali. Perché non c’è vera antimafia se non si combatte anche il capitalismo selvaggio, la povertà, la disuguaglianza. Non c’è vera giustizia se non si abbattono i rapporti di forza che mettono il profitto davanti alla vita, la proprietà davanti al bene comune.
Peppino, figlio di un mafioso, fece la scelta più radicale e coraggiosa possibile: rifiutare le radici imposte e costruire una nuova identità politica e morale. Sfidò non solo la mafia, ma anche la mentalità mafiosa: quella della rassegnazione, della paura, dell’obbedienza. Quella del “meglio stare zitti”, del “non ci riguarda”, del “così va il mondo”.
Con “Radio Aut”, con il “Circolo Musica e Cultura”, con le sue inchieste, le sue denunce, le sue parole, Peppino ha scardinato quel silenzio. Ha nominato i poteri, li ha ridicolizzati, li ha esposti. Ha colpito dove fa più male: nella verità.
E per questo è stato assassinato.
Ma la sua morte, che doveva essere un ammonimento, è diventata una scintilla. Non subito. Non facilmente. Ci sono voluti anni, la forza di una madre straordinaria come Felicia Bartolotta, la tenacia di suo fratello Giovanni, la solidarietà dei compagni, l’impegno di giornalisti, attivisti, studenti, avvocati. Tutti insieme hanno fatto in modo che la verità venisse fuori. Che il nome di Peppino venisse restituito alla storia. Non come martire, ma come militante comunista che ha pagato con la vita il suo impegno per la giustizia e la libertà.
E allora io oggi voglio dirlo con forza: Peppino Impastato non è una bandiera da esibire. È un compagno da ascoltare.
La sua voce ci parla ancora, se vogliamo ascoltarla. Ci parla quando denunciamo le mafie che oggi si muovono nei grandi cantieri, nei traffici internazionali, nelle pieghe della finanza globale. Ci parla quando combattiamo il caporalato nelle campagne e lo sfruttamento nei magazzini. Ci parla quando ci opponiamo alle grandi opere inutili e dannose, ai disastri ambientali, all’abbandono delle periferie.
Ci parla, soprattutto, quando scegliamo da che parte stare. E non è mai una parte comoda. È la parte degli ultimi, dei poveri, dei migranti sfruttati, dei lavoratori precari, delle donne che lottano contro la violenza, dei giovani che chiedono futuro, dei territori che rifiutano la devastazione ambientale, delle comunità che si ribellano all’oppressione.
Peppino non voleva solo “denunciare” la mafia. Voleva costruire un’altra società. Un’altra idea di potere, fondata sulla partecipazione, sull’uguaglianza, sulla cultura, sull’autogestione. E questo, compagne e compagni, è esattamente il compito che abbiamo anche oggi.
Perché oggi la mafia, quella vera, non ha più la coppola e la lupara. Ha i piani industriali, le società off-shore, i contratti da miliardi. Si nutre di neoliberismo, di deregolamentazione, di crisi sociali. E se noi vogliamo davvero essere “antimafia”, dobbiamo esserlo fino in fondo: dobbiamo essere contro ogni forma di sfruttamento, di diseguaglianza, di dominazione.
Oggi ricordiamo Peppino non con la nostalgia, ma con la rabbia e con il coraggio. Perché se lui ha saputo parlare in una Sicilia che sembrava condannata al silenzio, allora anche noi possiamo e dobbiamo parlare, agire, costruire.
Non accettiamo le retoriche vuote. Non accettiamo chi si dice “contro la mafia” ma poi difende le politiche di guerra, di sfruttamento, di cemento. Non accettiamo chi svende il territorio, chi finanzia le multinazionali, chi reprime i movimenti. Non accettiamo che Peppino venga usato per lavare coscienze, mentre si continua a calpestare quello per cui ha dato la vita.
Peppino è vivo nelle lotte per la casa, per la terra, per il lavoro, per la scuola pubblica, per la sanità pubblica, per l’ambiente, per la pace.
E allora noi oggi non solo lo ricordiamo. Lo portiamo con noi. Lo facciamo parlare ancora. In ogni assemblea, in ogni corteo, in ogni microfono acceso contro il potere. In ogni parola che non accetta compromessi.
Lo diciamo forte, insieme, senza retorica ma con passione:
“Se si insegnasse la bellezza, alla gente si darebbe un’arma contro la rassegnazione, la paura, l’omertà. Peppino Impastato”
E noi quell’arma vogliamo usarla. Perché abbiamo scelto la parte giusta. Anche se è difficile. Anche se è minoritaria. Anche se fa paura.
Ma è la parte di Peppino. E quella, non la lasciamo mai.
Robbiano Laura PRC

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Laura Robbiano

Un commento su “Oggi ricordiamo Peppino Impastato, ucciso 47 anni fa dalla mafia

  1. Ottima analisi ,Laura . Peppino è ‘ con noi dinne e uomini resistenti

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