Durante le settimane precedenti al referendum ho sentito, da più voci, un’affermazione ribadita anche dalla Presidente del Consiglio Meloni, la quale riprendendo una vecchia argomentazione a sostegno del non voto al referendum ha dichiarato che “Non votare è un diritto di tutti. Lavoratori e non”. Alla lettura di questa dichiarazione per la quale l’astensione sarebbe un diritto, io mi sono ritrovata a strabuzzare gli occhi e scuotere la testa un po’ come Giorgetti quando ha sentito la gaffe della stessa Meloni sullo spread.
Va fatta una premessa.
L’esercizio del voto alle elezioni politiche è in Italia un diritto e un «dovere civico» (art. 48, 2° comma, Cost.), dunque non un obbligo giuridico. Le fonti non contemplano alcun quorum strutturale di validità per le elezioni politiche. La volontà popolare si esprime attraverso il voto, non mediante la rinuncia al suo esercizio, che può avere varie motivazioni. Sul piano della legalità formale, dunque, il non voto si ritiene in genere inidoneo ad incidere sulla regolarità del procedimento elettorale della composizione dell’organo parlamentare.
Il tema del non voto nelle elezioni politiche si presta piuttosto a riflessioni diverse, sensibili alle possibili ricadute istituzionali che si profilano all’orizzonte, soprattutto, perché si sta raggiungendo il punto di rottura: un’inversione nel rapporto percentuale tra voti espressi e voti non espressi comporta infatti la pericolosa conseguenza per la quale l’espressione di volontà di pochissimi determina i governanti di tutti.
Nei referendum la situazione è parzialmente diversa.
Il referendum abrogativo è uno degli strumenti più diretti con cui i cittadini possono intervenire sulle leggi in vigore, esprimendo la propria volontà su norme già approvate dal Parlamento. È una forma di democrazia diretta che traduce in pratica il principio, sancito dall’articolo 1 della Costituzione, secondo cui la sovranità appartiene al popolo. Tuttavia il voto resta un diritto e non un dovere. La legge, infatti, non prevede alcuna sanzione per l’astensione, diversamente da quanto accade in altri paesi come l’Australia o il Belgio dove il voto è obbligatorio.
Cosa cambia tra le elezioni politiche e il referendum? Il quorum richiesto per quest’ultimo e non per le prime.
Il quorum indica il numero di partecipanti o elettori necessario affinché una votazione sia valida e viene previsto nei casi in cui si voglia evitare che un’esigua minoranza di elettori possa prendere decisioni riguardanti l’intera collettività, paradossalmente proprio quello che sta avvenendo nelle elezioni politiche dove partiti con un consenso ben inferiore al 50% degli aventi diritto al voto, stanno governando e anzi il partito con più adesioni è proprio quello degli astenuti.
Quindi abbiamo detto che votare in tutti i casi (politiche o referendum) è un diritto e non un dovere giuridico, ma le conseguenze del non voto sono più incisive nel referendum perché gli astenuti favoriscono il risultato negativo, mentre nelle politiche sono sostanzialmente ininfluenti sull’esito, non favorendo direttamente alcun partito.
Da quanto detto sopra ne deriva che l’astensione, di per sé non è un diritto, ma solo una modalità di esercizio del diritto di voto, cioè una facoltà.
Chiunque sia titolare di un diritto può scegliere di esercitarlo o non esercitarlo, e questo rientra nelle facoltà tipiche di quel diritto, cioè una modalità di esercizio (o non esercizio) di quel diritto.
Se sono titolare di un diritto di credito posso decidere di riscuoterlo, coattivamente o meno, presso il mio debitore; se sono titolare di un diritto di proprietà posso decidere di goderne direttamente, abitando la casa
acquistata, oppure indirettamente, locandola a terzi, oppure posso decidere di non goderne affatto, lasciandola disabitata senza prendermene cura.
Di solito le conseguenze legate al non esercizio prolungato di un proprio diritto ricadono principalmente sul titolare del diritto stesso: non esercito il diritto di credito per un certo periodo di tempo, perdo la possibilità di farlo perché si prescrive la facoltà di agire contro il debitore; non esercito le facoltà di godimento legate al mio diritto di proprietà su un bene, può avvenire che altri esercitino il possesso continuato e ininterrotto per un determinato periodo di tempo sul mio bene e quindi lo usucapiscano.
Il diritto di voto però ha a che fare con la collettività, con la cosa pubblica, il bene comune, pertanto è inevitabile che le conseguenze del non voto da parte di tanti cittadini ricadano su tutti. Probabilmente si inizierà a ritenere che i referendum siano un costo troppo elevato per la comunità, dal momento che raramente si raggiunge il quorum, pertanto si proporrà una modifica della norma costituzionale che li regolamenta. Questa modifica sarà approvata da un Parlamento eletto da pochi milioni di abitanti, dato l’alto numero di astensionisti anche alle politiche, e probabilmente sarà volta a mantenere il più possibile il potere in mano a poche persone, riducendo drasticamente una delle espressioni più pure di democrazia diretta.
Quindi invece di seguire, con tifoseria da stadio, una posizione o l’altra circa le modalità di esercizio dei nostri diritti, sarebbe bene che ci informassimo e leggessimo anche in prospettiva futura questi inviti all’astensionismo fatti dai nostri governanti: un po’ come se il nostro vicino di casa ci invitasse per anni a non curare il nostro giardino, non utilizzarlo, dicendoci che costa troppo tagliare l’erba, che ci conviene andare al mare, con l’obiettivo di ararlo, farci un bell’orto e poi usucapirlo
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