Capanne di Marcarolo, scoperta specie di vipera “super” velenosa

Tutto è iniziato in maniera del tutto casuale l’8 giugno 2011 durante un’uscita del professor Massimo Meregalli del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, il dottor Stefano Bovero e il dottor Marco Favelli, ricercatori indipendenti della ONG «Zirichiltaggi» Sardinia Wildlife Conservation, insieme all’erpetologo argentino Rafael Maria Repetto. Quel giorno, mentre accompagnavano gli studenti del corso di metodi di campionamento zoologico, si è verificato un episodio destinato a diventare un punto di svolta nello studio delle vipere.

Nel corso delle attività didattiche, Favelli – all’epoca consulente del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino – catturò una vipera per mostrarne le caratteristiche agli studenti. Il serpente, però, riuscì a morderlo a una mano.

Gli erpetologi notarono subito che i sintomi del morso non erano del tutto consueti. Oltre ai segni emolitici, cardiaci e neurologici tipici, in questo caso gli effetti erano amplificati: comparvero ptosi palpebrale (abbassamento della palpebra superiore) e forti dolori addominali causati dal quasi blocco del diaframma. Un quadro clinico inaspettato, che rese necessario il ricovero in ospedale.

Fino a quel momento, solo nel sud-est della Francia erano stati descritti morsi di Vipera aspis aspis con sintomi neurologici insoliti. Studi scientifici condotti nel 2002 e nel 2007 avevano documentato come, in quell’area, alcuni pazienti avessero sviluppato segni neurotossici oltre ai disturbi locali e sistemici.

La variabilità del veleno, legata anche alla geografia, è oggi considerata un elemento chiave per comprendere l’evoluzione dei serpenti velenosi e per la preparazione di antiveleni efficaci. Analisi epidemiologiche, genetiche e biochimiche hanno infatti dimostrato come la presenza di specifiche neurotossine (vaspina e ammodytoxina) possa essere correlata alla comparsa di sintomi neurologici negli esseri umani.

La Vipera aspis è l’unico serpente velenoso diffuso in Italia, insieme al colubro lacertino (Malpolon monspessulanus), presente solo in Liguria occidentale e meno pericoloso per l’uomo. In Piemonte sono state identificate tre sottospecie di Vipera aspis: occidentale (aspis aspis), centrale e meridionale (aspis francisciredi) e settentrionale (aspis atra). Distinguere le diverse forme non è sempre semplice, poiché esistono anche popolazioni ibride.

Le vipere adulte raggiungono mediamente 80 cm, hanno testa triangolare ben distinta dal collo, pupille verticali e corpo robusto. Vivono in ambienti soleggiati, tra boscaglie, pietraie e zone rocciose, dalla pianura fino a oltre 2800 metri di quota. La loro riproduzione è ovovivipara: le uova si sviluppano all’interno della madre, che regola la temperatura corporea esponendosi al sole. La vipera è un predatore paziente: attende immobile tra erba e rocce e colpisce piccoli mammiferi e lucertole, uccidendoli con il veleno emotossico e rintracciandoli poi grazie all’olfatto fine della lingua biforcuta.

Nonostante la sua fama, la vipera non è un animale aggressivo. I morsi sono rari e in molti casi (circa il 30%) avvengono senza inoculazione di veleno. La gravità dipende da vari fattori, come la quantità di veleno iniettata, le condizioni della persona colpita e la sede del morso. I sintomi locali comprendono dolore intenso, gonfiore ed ecchimosi, mentre a livello sistemico possono verificarsi nausea, vomito, diarrea, ipotensione, tachicardia e, nei casi neurotossici, ptosi palpebrale e difficoltà respiratorie.

In caso di morso è essenziale mantenere la calma, limitare i movimenti, disinfettare e raffreddare la ferita, immobilizzare l’arto colpito e recarsi subito in ospedale. Sono invece da evitare incisioni, succhiamento del sangue, lacci troppo stretti e rimedi improvvisati.

L’episodio avvenuto nel 2011 in Piemonte ha dunque contribuito ad ampliare le conoscenze scientifiche su un animale che, pur temuto, riveste un ruolo fondamentale negli ecosistemi. Conoscerlo meglio significa anche imparare a rispettarlo e a prevenire comportamenti rischiosi durante le escursioni.


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