L’eredità di Charlie Kirk 

Mi sono chiesto più volte se valesse la pena di parlare di un signore che pensava ad alcune cose che penso anch’io (poche) e a tante altre che “mi fanno morire dal ridere”.  Charlie Kirk è stato assassinato. Aveva 30 anni. 

A proposito del verbo “assassinare”: la sua origine è molto curiosa. Ma sono qui per parlare d’altro. 

Quelli di “Chiedimi chi erano i Beatles” probabilmente non sapevano chi era Charlie Kirk e, con tutta sincerità, neanch’io. Lui era fondamentalmente un oratore, un maestro di retorica (l’arte del parlare in pubblico), un moderno Demostene mutatis mutandis. Era uno di destra, anzi di destrissima, amante di Trump, difensore della libera circolazione delle armi, pro Israele e anti vaxxers. 

Insomma, era tutto quello che dovrebbe tenerti lontano da un’Università americana, ma anche italiana (interessante riflessione questa: le Università sono “lontane” dalle guide politiche di riferimento), dove era molto probabile che lo avrebbero preso a sassate. 

Invece lui andava lì, nelle Università. Prendeva un microfono in mano e discuteva con chiunque gli facesse delle domande, ribaltando le tesi dei suoi interlocutori. Non perché erano deboli (a volte si), ma perché erano deboli gli interlocutori stessi, perché non erano sorretti dalla stessa capacità oratoria o dalla conoscenza della materia. 

Era preparato Charlie Kirk ed era tosto. A me è capitato di guardarlo con un misto di contrarietà e di ammirazione (lo dico con un velo di ironia), perché se la prendeva con tutti, ma in particolare con quelli “diversi”. Insomma, convincere qualcuno che se hai il “pisello” non puoi partorire, non è la più ardua delle cose; ma di certo sapeva il fatto suo e non gli mancava il coraggio. 

Quello che stava per mancare a me. Non volevo correre il rischio di essere catalogato come un trumpiano, un estremista cattolico. Quindi avevo pensato: “meglio non parlare di Kirk, meglio saltarlo”. 

Poi il discorso è diventato “interessante”, visto che Kirk è divenuto “un’eredità politica”. A convincermi sono stati i soliti “deficienti”; dal latino “deficere”, mancare. Quelli a cui manca appunto l’umanità, ovvero i “disumani”. L’avverbio “dis” ha la caratteristica di dare alla parola che segue il significato contrario. Faccio degli esempi: unire – disunire; armare – disarmare, umano – disumano. 

Se perdiamo l’umanità, cosa siamo? Sentita la discussione che monta in questi giorni su Charlie Kirk, dei disumani, appunto. Capaci di prendere in giro un ragazzo di 30 anni che lascia una moglie e due figli. Capaci (Trump) di pronunciare alla sua “festa di commemorazione” le seguenti parole: “odio i miei nemici”, quando appena prima la vedova di Kirk aveva perdonato l’assassino di suo marito. 

E questo perché Kirk pensava di essere libero di discutere, di esprimere le sue opinioni, come è normale che sia in democrazia. 

Su Kirk girano un sacco di battutine di basso profilo: «Difendeva la libera circolazione delle armi e diceva che i morti “sparati” erano il prezzo da pagare perché gli americani potessero godere di questa libertà. Proprio lui è morto “sparato”. Se l’è proprio cercata». Per carità; io sono d’accordo sul fare le “battutine” su quasi tutto, perché prendere le cose sul serio, troppo sul serio, non fa bene. 

Ma qui il discorso è diverso, perché quello che accade adesso in America sembra assomigliare tanto agli anni di piombo. Anni in cui dei ragazzi sparavano a degli altri ragazzi, spinti dall’ideologia e dalla violenza del dibattito. La stessa violenza di allora  si respira ora, anche da noi in Europa; e viene pure enfatizzata da una parte e dall’altra della politica. Questo è un sintomo di quanto oggi la politica sia debole, incapace di farsi carico dei problemi reali; e quando la politica è così debole, le conseguenze nefaste possiamo anche immaginarcele. 

Ma il problema vero, in tutto questo clima di odio, ce l’hanno le giovani generazioni che, in mancanza di un dibattito libero, non potranno che risolvere le questioni “a mazzate”; perché conoscono poche parole del vocabolario e le poche che conoscono, le usano pure male. Con la consueta profondità di cui è capace, Umberto Galimberti ricorda due ricerche del linguista Tullio De Mauro, dalle quali emerge che uno studente del ginnasio conosceva all’incirca 1600 parole, nel 1976; erano circa 600 – 700 nel 1996. Sono scese a circa 300 nel 2016. E questo è un grosso problema, perché se non conosciamo le parole, non siamo neppure capaci di pensare in modo corretto. 

In parole più semplici, meno parole si hanno, prima arriva il pugno in faccia. Chi conosce le parole, invece, usa quelle anche per far male. 

Quindi prestiamo attenzione a parlare di Kirk, a santificarlo o a demonizzarlo, come fanno la destra e la sinistra. Perché qui il vero problema non è quello di fare di Kirk un simbolo, positivo o negativo che sia, ma di abituare i giovani a dibattere in modo onesto, e non a “tifare” per l’una o l’altra fazione come se si trattasse di una partita di calcio. Dibattere, magari con un grado di pacatezza maggiore rispetto a Kirk, fornire le parole, trasmetterle. Anche se oggi questa sembra l’ultima delle preoccupazioni 

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Alessandro Reale

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