Tortona ai tempi del covid

Come si sta a Tortona in questo autunno caldo climaticamente e freddo del nostro scontento?
Si sta poco bene, come dappertutto, con in più proprio ciò che ho citato prima “lo scontento” che come un carico in più sul dorso di mulo rende l’atmosfera pesante. E si sa che “chi nasce mulo bisogna che tira calci”.
Uscendo fuor di metafora, a Tortona si vive il dramma di questa pandemia un po’ come ovunque, con la paura, con la tristezza, anche con il nervosismo delle libertà contingentate e con la preoccupazione per i danni economici che la situazione si porta dietro. 
A tutto questo si sommano alcune decisioni, prese sulla testa dei cittadini, anche del Primo, a quanto pare, che ci danno l’impressione, ancora una volta, di essere stati presi in giro e turlupinati.
Infatti come si potrebbe definire lo stato di chi ha creduto a promesse, poi disattese attraverso provvedimenti inoculati “quasi di nascosto”? Dire “presi…in giro”, forse è persino un eufemismo.
Ma facciamo un passo indietro a quella ventosa domenica di fine Carnevale quando una malinconica sfilata di carri allegorici è partita dal focolaio maggiore tortonese ed è transitata di fronte a un Pronto Soccorso già chiuso per il ricovero dei primi casi di Covid.
Il giorno dopo quell’ospedale, in una notte, diventò il primo Covid Hospital d’Italia, un primato che ci saremmo volentieri risparmiato.
Tanto per dare un’idea a chi è di fuori il quartiere di San Bernardino, che si trova tra il Santuario e l’Ospedale, si trasformò velocemente in una zona rossa presidiata.
Quando il capo della Protezione civile regionale, Raviolo, arrivò scafandrato per un sopralluogo presso le suore Orionine che poi furono decimate dal virus, la zona venne transennata con i militari a sbarrare le strade.
Molti di noi, tappati in casa, videro il tutto solo in televisione, anche se avveniva a pochi metri.
In quell’occasione l’occhio non potè non notare la differenza tra la bardatura del responsabile in capo e la scarsa protezione dei nostri vigili urbani che infatti si ammalarono tutti fino alla completa chiusura del Comando che in quei giorni perse il suo vicecomandante proprio a causa del Covid.
Quante città sono rimaste senza ospedale, senza polizia urbana e con gran parte dei medici di famiglia ammalati e in quarantena?
In quei giorni tribolati in cui Tortona si sentì la Codogno del Piemonte ci si trovò come sospesi in un limbo, non solo isolati per il primo lock down, ma carichi di ansia per ciò che accadeva vicino a noi, con il cuore gonfio di tristezza per le celle frigorifere utilizzate per conservare le salme che non riuscivano più a essere contenute nell’obitorio e nemmeno nella cappella del Cimitero.
Perché a Tortona alla frequente domanda dei negazionisti:”Ma tu conosci qualcuno che è morto per Covid?”, quasi tutti hanno più di una persona da segnalare. 
A me su tutti viene in mente una coppia di settantenni, belli, in forma, attivi, marito e moglie, che se ne sono andati via velocemente e ancora oggi, ogni tanto, mi pare di vederli togliere le borse della spesa dall’auto, prima di metterla in garage.
Passato il periodo più cupo, anche a Tortona piano piano le cose hanno cominciato ad andare meglio e si è vissuta un’estate di pseudo-normalità.
Pseudo, perché il trauma e la paura sono rimasti lì nelle mascherine dei più disciplinati anche nelle giornate calde e nel numero ridotto degli eventi.
Come ovunque il sollievo ha lasciato il posto a una specie di rilassatezza, culminata nei giovedì serali estivi che hanno visto aperitivi e cene affollati nei bar e nei locali del centro.
A passare da quelle parti si aveva l’impressione che i morti di un paio di mesi prima fossero già stati dimenticati, morti e sepolti.
La logica dello “show must go on” ha prevalso ovunque, anche nella nostra cittadina.
Durante l’estate la pseudo-normalità si è potuta osservare anche a livello dei servizi. 
Ha riaperto il Comando dei vigili urbani, accompagnato da proteste sindacali dei medesimi, per lo scarso numero degli addetti, una parte dei quali ancora in malattia. 
È stato smantellato il Covid Hospital, ritornando alla versione ospedale depotenziato ante pandemia, con pronto soccorso e pochi reparti. Sono tornati in servizio i medici di famiglia e, con qualche difficoltà di prenotazione, molti di noi hanno potuto fare visite ed esami differiti da tempo.
Insomma tutto sembrava aver preso una piega più accettabile, tanto da rendere credibile la rassicurazione delle autorità regionali e locali del “mai più Covid Hospital”, a cui molti hanno creduto, io personalmente no e l’ho anche scritto più volte.
L’aria sembrava così benevola da far ipotizzare il futuro dell’Ospedale tortonese post pandemia, un futuro di ripresa, un futuro nel privato.
Non a caso proprio nei mesi più propizi ci fu, come chiamarla, una tavola rotonda, una conferenza, promossa dal Rotary, per discutere del destino del nosocomio cittadino alla presenza delle autorità amministrative e sanitarie e con la partecipazione dell’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Icardi. Nel contesto importante era la presenza di rappresentanti del Policlinico di Monza, struttura sanitaria privata interessata alla gestione dell’ospedale tortonese.
Il Policlinico in questione, che in zona già gestisce la Clinica Salus di Alessandria oltre a numerosi ospedali tra Lombardia e Piemonte, è un colosso non solo dal punto di vista sanitario, ma anche economico, basta una piccola ricerca sul web per rendersi conto della mole di interessi e di partecipazioni azionarie, insomma quel che si dice un pezzo da novanta del settore.
Il progetto del ritorno dell’ospedale nella sua forma originaria, seppur privato, ha raccolto molti estimatori, non solo nella giunta cittadina, ma anche potremmo dire bipartisan, in quanto chi è più realista del re sostiene che il suddetto progetto potrebbe essere l’ultima spes per tornare ad avere una sanità completa e funzionante.
In fondo il ragionamento è: cosa importa se l’ospedale è privato? In fondo, se è in convenzione, a me non costerà un centesimo di più e avrò i servizi principali a due passi da casa.
Ragionandola da anziana bisognosa di assistenza forse anch’io sarei tentata di fare simili ragionamenti, ma quando si pensa a problemi che interessano la collettività è giusto non ragionare solo dal punto di vista personale.
Tanti sono i dubbi che accompagnano l’operazione che vede un po’ troppi entusiasti sostenitori. 
Intanto quando qualcosa passa dalla gestione statale a quella privata si inserisce un fattore chiamato “profitto” che non sempre influisce positivamente sul funzionamento, secondariamente il fallimento della politica regionale lombarda che è andata proprio in tal senso, potrebbe suggerirci di stare in guardia, di non essere troppo fiduciosi.
La sensazione di grandi manovre è nell’aria e anche in lavori di manutenzione straordinaria dell’immobile dell’ospedale mai visti prima.
Come le foglie degli alberi in autunno, però, i grandi auspici estivi sono caduti nel dimenticatoio con l’arrivo della temibile e temuta “seconda ondata”.
Campeggiava una locandina de La Stampa vicino all’edicola di San Bernardino, su quello che chiamiamo ponte del Grop, con la scritta lapidaria “Mai più Covid Hospital” quando nel giro di due giorni è accaduto l’esatto contrario.
Quindi, dopo tutti questi antecedenti, siamo arrivati al momento che stiamo vivendo, ancora una volta drammatico.
È ripreso il suono delle sirene e, nella notte, code di ambulanze hanno trasferito pazienti Covid a Tortona che nel giro di pochissimo ha avuto la struttura ospedaliera dedicata satura.
Al malcontento dei cittadini che ancora una volta si sono trovati privati del nosocomio più vicino, ricordiamo che circa 60.000 persone, residenti in città e nei paesi del circondario, orbitano attorno ai servizi che offre, si sono aggiunte le polemiche politiche sul gesto della Regione Piemonte che pare aver scavalcato il Primo cittadino, il quale ribadisce che aveva ottenuto serie rassicurazioni sul non ritorno del Covid H.
Dopo qualche scambio polemico con l’opposizione, in particolare con l’ex Sindaco che sulla questione ospedale aveva riconsegnato la tessera al PD, il partito con cui era stato eletto, ora sembra scoppiata una sorta di Pax.
Visto il terribile periodo che stiamo vivendo, proprio l’opposizione ha offerto la propria collaborazione a Sindaco e giunta che hanno apprezzato l’offerta del sostegno per superare la crisi.
Forse da questa nuova atmosfera è partita la missiva formale all’assessore Icardi nella quale il Sindaco ha espresso il proprio disappunto per le scelte operate dalla Regione in merito al Comune da lui amministrato, elencando una serie di “do ut des” in cambio dei sacrifici imposti alla città, ricompense tra le quali figura il ripristino del Dea, del reparto di Cardiologia e l’istituzione di un repartino da affiancare all’ambulatorio di pediatria.
In tutto il documento non compare nemmeno una volta la parola “privato” quindi si immagina che la richiesta riguardi servizi da reintegrare nel nostro ospedale con la normale gestione statale.
Come andrà a finire chi può dirlo? Credere alle promesse della Regione, dopo che la stessa le ha più volte disattese? Non è troppo da creduloni, foss’anche Tortonesi? 
Sarei ben felice di ricredermi, ma non posso non esprimere tutti i dubbi che in questi giorni mi accompagnano.
Quindi concludendo come si sta a Tortona ai tempi del Covid? Malaccio come ovunque con qualche preoccupazione in più e con quello strano senso di amarezza che si prova quando si viene considerati molto poco.
C’è un detto dialettale che recita più o meno così:”Non siamo mica i figli di Netta”, un modo per dire “non siamo mica figli di nessuno” (tutta la mia solidarietà a Netta), ecco forse, a Tortona ci sentiamo così, un po’ figli di Netta.

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Maria Angela Damilano

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