Quella gita a Voltaggio nel 2018: quattro spunti per guardare al 25 settembre e oltre

Nel marzo del 2018, poche settimane dopo le elezioni, l’allora direttore del Il Novese Andrea Vignoli, non ancora Mosconizzato, mi aveva sguinzagliato per la provincia a cercare qualche storia degna di generare un minimo di dibattito in vista di uno dei più difficili periodi di negoziazione per la formazione di un governo. Una delle storie era a Voltaggio, caso più unico che raro in cui il PD aveva doppiato sè stesso rispetto alle limitrofe Carrosio, Gavi e Bosio in una delle tornate elettorali più disastrose per il centro-sinistra.

Con gli attivisti del PD locale si parlò dei motivi per cui il crollo verticale, da loro, non c’era stato, e si arrivò a parlare di alcuni temi che, nel panorama odierno, mi sembrano ancora attualissimi e allo stesso tempo deboli nella forma con cui il centro-sinistra si percepisce oggi.

Associazionismo e dibattito pubblico: l’impressione è che i temi di discussione siano diventati (o forse rimasti) quelli più ampi, forse percepiti distanti dai cittadini comuni. A Voltaggio i dibattiti si concentravano sul Terzo Valico, un elemento che influisce notevolmente e direttamente sulla vita locale. In positivo (opportunità di lavoro, investimenti) o in negativo (impatto sull’ambiente, vivibilità). Questo approccio ha premiato, nonostante l’argomento, come abbiamo appena visto, sia enormemente divisivo. Se a livello nazionale l’unico argomento degno di notorietà (per lo meno negli ultimi mesi) è lo Ius Soli o la sua versione più edulcorata dello Ius Scholae, è immaginabile che la stragrande maggioranza degli elettori (ovvero quelli il cui albero genealogico è radicato nel nostro stivale senza soluzione di continuità) possa chiedersi “Ma io in che modo posso beneficiare nel breve o medio termine di questa cosa?”.

Famiglia: oggi è diventata quasi una parolaccia, finiamo tutti per associarla ad Adinolfi che tuona contro il gender nelle scuole e la reazione (a tratti comprensibile) è quella di identificarsi automaticamente nella narrazione del Genitore Uno-Genitore Due (e potenzialmente Genitore Tre, che negli anni ’70 era il postino e oggi è la madre surrogata). In realtà la famiglia è un luogo di discussione e di confronto non diverso rispetto all’arena pubblica; è, piaccia o no, uno degli elementi che contraddistinguono la nostra società e il fatto che oggi ci siano nuove e legittime forme di famiglia rispetto a 40 anni fa, non le rende meno centrali nel confronto. Le famiglie saranno il luogo in cui i prossimi mesi si discuterà di bollette, di stringere la cinghia, di cosa preparare a cena quando il prezzo del cibo sarà ancora più alto o se scegliere di continuare ad andare al lavoro in macchina o provare a farlo in treno (per chi ha la fortuna di avere la stazione vicino casa) o con quel groviglio che sono i trasporti pubblici locali, per risparmiare sulla benzina.

Struttura: Il Partito Democratico è l’unico in grado di offrire una struttura continua su tutto il territorio nazionale. Non ce l’ha il Movimento 5 Stelle, che è nato da troppo poco tempo e ha preferito concentrarsi in forma virtuale (spesso pagandone il prezzo nel locale), non ce l’ha la Lega che, in quanto partito nato sotto la spinta localista, ha una rete più o meno salda al Nord, molto meno al Sud, così come non può ancora averla Fratelli d’Italia che raccoglie l’eredità del MSI e di AN (loro sì, più capillari, in particolar modo nel meridione), ma paga anche lo scotto di aver perso terreno fra la fallita fusione a freddo del PDL e la sua evidente crescita legata prevalentemente all’opposizione al governo Draghi. Ricevere impulsi dai territori sarà fondamentale in questa campagna elettorale, per evitare gli errori di quella precedente (tanti, troppi candidati calati dall’alto, spesso in seggi che si ritenevano sicuri) e per limitare l’impatto del taglio di parlamentari, che costringerà a lavorare su collegi più ampi e difficili da coprire.

Alleanze: Se nella primavera del 2018 avessimo detto agli attivisti di Voltaggio che in questa legislatura si sarebbero alternati un governo gialloverde presieduto da un allora anonimo professore universitario, un governo giallorosso presiediuto dallo stesso professore universitario e infine un governo di unità nazionale presiediuto da un molto meno anonimo banchiere centrale (e fatto cadere, fra gli altri, dal professore di cui sopra), ci avrebbero giustamente consigliato, come si diceva un tempo, di rivolgerci “al settimo”, in riferimento al piano dell’ospedale di Novi dedicato alla salute mentale. E’ normale che in un periodo di enorme fluidità elettorale (fra i 6 e gli 8 milioni di elettori sono passati dal PD di Renzi nel 2014, al M5S del 2018, alla Lega nel 2019 e ora probabilmente premieranno Giorgia Meloni) lo siano anche le alleanze. Forse, e questo è un discorso che non coinvolge solamente il Partito Democratico, questa difficoltà a mantenere un quadro stabile, è un elemento che gli elettori (o per lo meno quelli che non si posizionano automaticamente contro l’establishment e cercano risposte in rottamatori/rivoluzionari/capitani/donne&madri) non premiano. E se una soluzione per il governo del paese è necessaria (vedi l’accordo con Conte dopo il Papeete), meno lo sono alleanze apparentemente di comodo. Lo dimostra Alessandria, dove Abonante è stato eletto sindaco da una coalizione che includeva il Movimento 5 Stelle, quest’ultimo però ridotto a percentuali da elenco telefonico a fronte dell’enorme (e per certi versi inattesa) crescita di quello che viene comunemente chiamato “centro”, guidato dal navigato Barosini il cui supporto è poi stato decisivo per la vittoria del centro-sinistra al ballottaggio. 

Modelli di sviluppo: Questo per dire che, se è vero che la destra probabilmente vincerà le elezioni, allora potrebbe essere un bene approfittare di questo elemento per lavorare su una piattaforma comune che non sia contro quest’ultima. La destra vince dove si parla di immigrazione, e allora si può fare come la premier socialdemocratica danese Mette Frederiksen che governa dicendo “L’immigrazione di massa non funziona” senza vestire i panni della Crociata del 21mo secolo. La destra vince dove il gap fra ricchi e poveri aumenta, allora si può fare come la Norvegia che da trent’anni ha istituito un fondo sovrano che attinge al petrolio per sostenere il suo welfare e la transizione ecologica (noi, che non possiamo contare sui fossili, potremmo lavorare sull’evasione e sui crediti non riscossi, questi ultimi equivalgono al 60% del PIL). La destra vince dove la conoscenza e la cultura non sono un valore, allora si può fare come la Finlandia, che con l’Estonia (non a caso ne condivide parzialmente lingua e cultura) è il primo paese europeo nel programma di valutazione studentesca PISA.

Alcide De Gasperi parafrasando l’americano Clarke, diceva che la differenza fra un politico e uno statista è che il primo guarda alle prossime elezioni e il secondo alla prossima generazione. Questi quattro elementi probabilmente non serviranno a vincere le elezioni del 25 settembre, ma possono servire a rinnovare la fiducia nella politica e consolidare il legame con i cittadini di chi crede che, nel lungo termine, progresso, opportunità e lavoro facciano la differenza nell’evoluzione di una società.

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Enrico Varrecchione

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