La torre del castello va dallo psicoanalista – 2° seduta

Buongiorno dottore, come vede ho deciso di ritornare. Non so bene perché, forse lei mi ispira simpatia e a pelle sento che potremmo entrare in sintonia, o forse perché, detto tra noi, ormai in terapia ci vanno tutti, anche quelli che non dovrebbero averne bisogno. Il fatto è che dopo la scorsa seduta ho provato, anche se per poco, un piacevole senso di liberazione. Ammetto che mi è piaciuto molto sentirmi al centro dell’attenzione una volta tanto: probabilmente non sarà come ricevere 1K e passa visualizzazioni su instagram ma mi accontento. Per il tempo di quella prima seduta, sono riuscita addirittura a dimenticarmi di quel senso di abbandono che sento intorno a me da anni, soprattutto quando mi giro a guardare il mio parco… Ops mi perdoni, volevo dire il parco dei novesi. 

Non sarò mica un po’ narcisista?! Si dice così no? Quante volte le mie antenne hanno captato questa parola ultimamente! Mi sa proprio che sia diventato un trendvirale… di quelli destinati a far parlare di sé al massimo quindici giorni e poi: arrivederci riflessione autentica! Un po’ come i topic “resilienza” o “relazioni tossiche” che nel 2024 sono già passati di moda, come la collezione dell’anno scorso, pronta per i saldi. 

A volte ho paura di essere diventata una narcisista malata di attenzioni, ma in fondo ammetto di non pensarlo sul serio. Avendo letto di recente il saggio “arcipelago N.” del Prof. Vittorio Lingiardi, mi sono fatta l’idea che il concetto di narcisismo non si possa liquidare con l’immagine di un Narciso in carriera che si specchia in camera da letto e ammira sé stesso pensando a quanto sia elegante il proprio nuovo outfit firmato comprato all’outlet grazie a un vantaggioso finanziamento.

Credo infatti che ci sia qualcosa di più: per esempio che anche la depressione autentica sia una evidente manifestazione narcisistica. Una condizione dove l’individuo perde del tutto di vista l’esistenza dell’altro e finisce per diventare incapace di aggrapparsi anche per un solo istante ad un briciolo di empatia, anche quando si tratta di persone a cui si è legati. 

Ragionando ad alta voce, anche se non voglio ammetterlo, mi sembra di tornare al punto di partenza della scorsa seduta: sono malata di depressione, anche se per molto tempo non me ne sono resa conto.

In questo momento mi tira su il morale ripensare ai ruggenti anni 20’, quando come vicino di casa avevo addirittura un campo da tennis! Pensi che da un po’ faccio un sogno ricorrente: intorno a me c’è un grande cantiere polveroso che occupa tutta la mia spianata, solo che a lavorarci ci sono distinti uomini vestiti in gessato che calzano cappelli ad ala larga in quello che era lo stile dei gangster di New York. Che significherà dottore?

Se vuole sapere la mia, penso che quell’immagine sia un semplice rimando al fatto che è terribilmente démodé immaginare di rilanciare Novi puntando esclusivamente sulla nostalgia e le tradizioni. Abbiamo bisogno di evolverci senza dimenticare il passato, abbracciando un’integrazione sincera con i nuovi novesi. Con quali strategie operative?

Questo proprio non saprei dirlo ora, ma sono certa che una validissima fonte di ispirazione può venire guardando i capannelli di giovani studenti di origine molto diversa tra loro che con piacevole armonia marciano l’uno al fianco dell’altro, come se si conoscessero da una vita. 

Ti è piaciuto questo articolo? Offrici un caffè con Ko-Fi

Segui il moscone su Telegram per ricevere una notifica ogni volta che viene pubblicato un nuovo articolo https://t.me/ilmoscone

Alessandro Zaccheo

Torna su

Contact Us