La meta è il viaggio: cronaca di un viaggio in treno tra Piemonte e Toscana

Un sabato di fine maggio che assomiglia più a ottobre inoltrato, un’inaspettata aria gelida e il sole che si è messo le mani in tasca voltando le spalle indispettito: ho la ferma convinzione che con tutto il male che stiamo facendo alla terra e al clima, il sole proprio non ce lo meritiamo.

Ma torniamo a me e al viaggio (della speranza) in treno da Novi Ligure a Grosseto, circa quattrocento chilometri e sei ore di viaggio tra cambi e attese; fortuna che ho con me un buon libro e l’immancabile settimana enigmistica, compagna consolatoria di ogni pendolare. Partiamo dall’inizio: biglietti rigorosamente presi online, check-in sempre online (che non ho capito se è per risparmiare sui controllori o vi sono altre “ragioni più ragionevoli”), arrivo in stazione e vedo che il mio treno, Regionale Veloce molto comodo che prendo ormai da quasi tre anni, ferma a Genova Sampierdarena, dove bisogna scendere e attendere la coincidenza per Genova Principe, la mia “meta a metà”: peccato che l’applicazione di Trenitalia non lo evidenzia quando fai il biglietto. Bene, ma non benissimo: già il treno arriva in ritardo, poi si sofferma a Serravalle, forse per far scendere i passeggeri che vanno all’Outlet ci vuole tempo, ma sì, aspettiamo, tanto non sento più le estremità, ormai prossime al congelamento dovuto all’aria condizionata che nemmeno in estate. E vi ricordo il clima esterno ottobrino!

Intanto, mentre sto scrivendo, il RV è ripartito, viaggia, scricchiola e saltella ma almeno va. Usciamo da una galleria e anche il sole, forse mosso a pietà, si affaccia timidamente da dietro le nuvole: buio, sole, buio, sole, tutti i pendolari della Liguria sanno che funziona così. Intanto sono arrivata ad Arquata e mi domando a che ora riuscirò a vedere quella Liguria, senza contare il fatto che mentre ero in attesa in stazione l’altoparlante ha avvisato «i signori viaggiatori che i treni per La Spezia, Pisa, Roma subiranno ritardi fino a sessanta minuti causa guasto nella stazione di Sestri Levante. Ci scusiamo per il disagio». Gentilissimi, per carità, ma delle scuse in questo momento immaginerete cosa io possa farci, pur comprendendo che il guasto potrebbe dipendere dal maltempo che si è abbattuto nella notte sulla città di Sestri, il quale a sua volta, nella sua anomalia, nessuno mi toglie dalla testa sia colpa della nostra incuria.

Eccomi intanto scesa a Sampierdarena, io e la massa di viaggiatori ci riversiamo sulla coincidenza in arrivo da Savona, quindi già strabordante di persone, ma almeno il treno è di quelli nuovi, ancora freschi e puliti, che di trascorrere quei minuti di viaggio in piedi, appiccicata alla porta di uscita, si può anche tollerare. Arrivo a Genova, finalmente, fortuna che ho un’oretta prima del cambio, anche se il tempo con Trenitalia non è mai troppo. Il mio Freccia Argento (venduto però come Freccia Bianca e tutte le volte c’è qualcuno che va in panico pensando di aver sbagliato treno) riposa sereno in stazione a Principe, da dove partirò alle 12.10 e in questi tre anni nessuno ha mai saputo spiegarmi perché apra le porte solo dieci minuti prima, lasciando le persone accalcarsi fuori con i bagagli con qualsiasi temperatura, quando potrebbero salire un po’ prima e sistemarsi avendo maggiore agio.

Viaggio in treno da quando avevo diciannove anni e debbo dire che il benessere non è mai stata una preoccupazione delle Ferrovie e vi posso assicurare che in questi trentacinque anni da allora ho visto salire enormemente i prezzi e scendere ancora più enormemente la qualità del servizio. Ciò che conta per me è che ora sono comodamente seduta sul Freccia, il problema a Sestri si è risolto, mi sistemo e poi, come può succedere, devo andare in bagno. Primo bagno chiuso, trovo aperto quello per disabili, bene perché è più ampio, peccato non sia fruibile: ha il water intasato di carta, acqua e altro e siamo partiti da un’ora, mi chiedo come sia possibile visto che il tempo di attesa per aprire le porte di cui dicevo sarebbe quello dedicato alla pulizia.

Da viaggiatrice diligente ed educata, avendo visto due controllori seduti nella carrozza adiacente, mi avvicino e, scusandomi del disturbo, li avviso del problema: uno dei due alza appena lo sguardo dicendo «non siamo in servizio» e prosegue il discorso con il collega, che non proferisce parola. Io non sono una dalla risposta pronta, ci resto male, non dico nulla e me ne vado pensando che a volte le persone sanno essere davvero spiacevoli. No, non è vero, penso anche che quello è proprio uno stronzo (mi scuso con i lettori ma quando ci vuole, ci vuole).

Torno al mio posto, il viaggio prosegue e cerco di cogliere il bello del viaggiare in treno: la comodità del posto, la lettura, il buon caffè con la cordialità della barista, l’aver trovato un bagno funzionante e la piacevole chiacchierata con una signora che, zaino in spalla, si dirige verso le cinque terre pronta a un rigenerante cammino.

Per ogni persona spiacevole e maleducata ne esistono fortunatamente due di segno opposto che ti fanno sperare nel genere umano. Ma in Trenitalia no.

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Daria Ubaldeschi

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