La recensione: “La chiesa e la piana”, storia del sobborgo di San Michele

Può la storia di un sobborgo essere narrata con particolari che interessano territori più vasti, cioè, collegata, interconnessa con vicende che riguardino la città e da questa una storia più grande? Particulare o universale? Guicciardini o Machiavelli? Stiamo con Francesco Guicciardini, perché, se si parte dal piccolo, dall’irripetibile, dal differente occorre che lo si analizzi nella sua unicità. Ma dobbiamo stare anche con Nicolò Machiavelli, perché non può esistere una storia minima e puntuale, senza la grande storia e ai concetti generali siamo obbligati ad arrivare.

Possiamo certamente parlare di vita quotidiana, di fatti che riguardano una piccola realtà, ma non per questo insignificanti. Non per questo poco importanti.
Vi parliamo di un libro appena uscito per i tipi della casa editrice Echos di Giaveno e che riguarda da vicinissimo la nostra realtà: La Chiesa e la Piana, questo il titolo che potrebbe essere fuorviante, se non vi fosse il sottotitolo a chiarire che si tratta della Storia di San Michele, sobborgo di Alessandria abbastanza recente, visto che nasce a seguito dell’abbattimento del quartiere Bergoglio per far posto alla Cittadella, proprio nella prima metà del XVIII secolo.

Il libro

Autori del possente volume, circa 650 pagine con l’ausilio di 150 illustrazioni, Mons. Ivo Piccinini, parroco storico di San Michele, Piercarlo Fabbio e Natalino Ferrari, che ha curato molte delle ricerche archivistiche su cui si basa la narrazione.
Perché La Chiesa e perché la Piana? Perché ci troviamo di fronte ai grandi protagonisti di oltre tre secoli; quelli più netti e chiari, quelli che si stagliano sopra ogni altro. E dire che il libro mette in luce tanti altri protagonisti, una platea affollatissima di voci e di visi, di figure e di azioni. Nessuno, però come una Chiesa che non è solo un edificio in grado di raccogliere intorno a sé una comunità salda e densa, piuttosto che un agglomerato urbano di abitazioni, ma anche attrazione per iniziative sociali, politiche, economiche, di intrattenimento. Così come attrice del libro è la Piana, cioè quel territorio compreso tra fiume e collina. Una plaga caratterizzata dalla sua fertilità, dalla sua produttività, dalla sua capacità di essere un modello di agricoltura e di aggregazione sociale. Una zona che impara di volta in volta a lottare con il fiume e le sue sregolatezze, con i decisori politici irrispettosi di ogni vocazione naturale dei siti, con le proprie debolezze e con le notevoli risorse a disposizione.
Addentriamoci però nella lettura. Per dirvi subito che l’antefatto, cioè qualcosa che capita ben prima che si senta la necessità di occupare la zona con residenti in uscita da Bergoglio, parte addirittura dai primi anni del 1600 e presenta un protagonista di fantasia: Giuani dla vot, che assiste all’edificazione di un Santuario intitolato alla Beata Vergine di Loreto e all’allocazione della statua della Madonna Nera, che il vescovo Pietro Giorgio Odescalchi aveva fatto realizzare sul modello di quella presente del Santuario marchigiano. Ora comprendiamo perché a San Michele un Rio si chiama Loreto, e una zona, con tanto di strada d’accesso prende lo stesso nome.

Gli autori: Natalino Ferrari, Mons. Ivo Piccinini, parroco storico di San Michele, e Piercarlo Fabbio.


Gli autori lasciano ben presto il percorso del romanzo storico ed entrano decisamente nella storia con un capitolo in cui si descrive la genesi obbligata di una Piana sempre più popolata, con una cinquantina di cascine sempre più incapaci di contenere i nuovi abitanti in arrivo dal demolito Bergoglio. Alessandria, del resto, ad inizio secolo, nel marzo 1707, era passata dagli Spagnoli ai Savoia e la città duale sarebbe presto sparita per lasciare solo il centro fondato nel 1168. E nella Piana, mano a mano demolite le Chiese di Bergoglio, sarebbero rimaste alcune cappelle legate alle cascine più importanti. Nessuna in grado di ergersi a parrocchia.
Un altro momento determinante per la storia del sobborgo è sicuramente quello legato all’edificazione della Chiesa parrocchiale in località Ponte dell’Abate. Iniziativa personale di un sacerdote incardinato nella Congregazione della Missione, ma originario della Piana, don Carlo Mantelli.
Personaggio difficile da catalogare, pronto ad ingaggiare battaglia anche con il Vescovo per le sue idee. Una lunga trattazione lo riguarda.
Nata la Chiesa al Ponte dell’Abate, pur se ancora non terminata, superate le diatribe tra i Mantelli e il Vescovado, occorreva nominare un parroco. Il primo parroco era stato don Giuseppe Camurati, nominato nel 1787.
Il primo rettore però non aveva modo che di iniziare il suo percorso, perché la morte lo avrebbe colto pochi mesi dopo. Era stato sostituito da don Lorenzo Balza, originario di Litta Parodi, che avrebbe mantenuto il suo rettorato a San Michele per cinquant’anni, osservando e partecipando alle riforme napoleoniche, alla Restaurazione, al riconoscimento di San Michele Piana come corpo santo, ai moti carbonari e alla conclusione dell’edificio-Chiesa su progetto di Cristoforo Valizone. Il vescovo d’Angennes, illustre personaggio del Risorgimento, aveva aiutato non poco la parrocchia a terminare l’edificio di culto. E il 23 novembre 1828, a chiesa terminata, il vescovo D’Angennes poteva finalmente consacrarla.
Il treno era arrivato a solcare la Piana nel 1853 e un trentennio dopo le fermate del tramway di Bivio, San Michele Chiesa e Gerlotti avrebbero ancor più certificato il riconoscimento del nuovo sobborgo.
Ma, a metà dell’Ottocento, un’altra protagonista si aggiungeva ai due già conosciuti: la scuola.
Mentre l’Ottocento volgeva al termine, altri attori si presentavano sulla scena del sobborgo. La Società Agricola e Operaia di Mutuo Soccorso era una di questi. Era stata fondata l’8 dicembre 1874, presenti 109 soci fondatori. Nonostante la diffusione delle leghe socialiste e la risposta cattolica delle leghe bianche, nonché la nuova disponibilità della Chiesa alla dottrina sociale, la Società di San Michele si fondava su una coralità d’intenti in cui cattolici, liberali, socialisti sarebbero andati a braccetto senza alzare inutili steccati, visti gli scopi di assistenza ai lavoratori più sfortunati della nuova società.
E mentre l’area incominciava ad essere servita da nuovi ponti – quello sul Tanaro e quello degli Orti – l’emigrazione cominciava ad offendere la popolazione con i suoi dolorosi morsi.
Intanto in parrocchia si alternavano i parroci: don Pietro Boidi, don Giovanni Pastorini, don Giuseppe Testera, don Angelo Cellerino. Ridottissime le sostituzioni, se si tiene in considerazione che don Angelo giungerà a reggere la parrocchia fino al 1953. Circa 120 anni divisi per soli quattro rettori. E la situazione in parrocchia non sarebbe mutata neppure negli anni a seguire: don Franco Gervino sarebbe rimasto fino al 1976 e da lì sarebbe partita la missione di don Ivo Piccinini, che era giunto a San Michele, quando fedeli e parroco erano in scontro per l’allontanamento del viceparroco Padre Dino.
San Michele doveva però subire altre prove: la battaglia contro l’inceneritore Ansaldo e l’alluvione del 1994 si stagliavano sopra le altre.
E la ricostruzione avrebbe visto, ancora una volta, la Chiesa al centro dell’attenzione, catalizzatrice di richieste e risolutrice di bisogni. Eppure, ancora una volta, San Michele si era rialzato e aveva rigenerato la sua esistenza, tenendo insieme tutte le sue risorse e arrivando fino ai nostri giorni con una disponibilità alla modernità che, se da una parte gli consentiva di essere un modello per l’agricoltura e la zootecnia evoluta, dall’altra pagava il prezzo di grandi vie di comunicazione che ne solcavano i suoi territori, andando ad alterare il rapporto secolare tra uomo, luoghi e natura.
Ci fermiamo qui avendo tralasciato molte parti del racconto degli autori, come l’interessantissima trattazione degli anni Venti e dell’affermazione socialista in Alessandria oppure di fatti di cronaca nera che hanno interessato il sobborgo o ancora il difficile cammino della Chiesa fra le due guerre. Ma non manca il ricordo di eroi come Osvaldo Remotti e Dalmazio Birago. Oppure la citazione della capacità imprenditoriale nell’ultimo ventennio.
Aggiungo solo che il libro basa la sua credibilità ed un secondo livello di lettura più approfondita su un cospicuo e poderoso sistema di note a piè di pagina, che indica non solo le fonti della ricerca storica, ma anche spiega personaggi, fatti, vicende che non trovano posto nella narrazione principale.
Il libro è stato presentato al Salone del libro e partecipa alle selezioni del Premio Acqui Storia.

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andrea vignoli

Giornalista, scrittore, insegnante.

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