“Meditate che questo è stato”: il Giorno della Memoria

Nel luglio del 2000 il Parlamento italiano ha approvato la legge n. 211, di due soli articoli, che istituiva il 27 gennaio – data in cui nel 1945 le truppe sovietiche entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz, scoprendo l’orrore che vi regnava – il “Giorno della memoria”, per “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. 

Si dava così una risposta istituzionale a quell’esigenza di confrontarsi con questi temi che era lentamente cresciuta nei decenni precedenti, dopo una fase di oblio o di rimozione che per lungo tempo non aveva consentito che la tragedia dei lager divenisse oggetto di riflessione. A conclusione del conflitto, infatti, l’atteggiamento prevalente nei confronti della deportazione nei campi di sterminio era il silenzio, rotto solo qua e là da qualche rara testimonianza: da una parte vi erano i sopravvissuti,  che avevano il timore di non essere creduti se avessero raccontato quello che avevano vissuto (era questo, come ci ricorda anche Primo Levi, uno dei sogni ricorrenti nei prigionieri dei lager);  dall’altra, c’era la gente che non era molto propensa ad ascoltare storie drammatiche in quelli che erano gli anni della ricostruzione, in cui si voleva ricominciare a vivere, lasciandosi alle spalle la guerra e le tragedie che essa aveva prodotto.
È solo a partire dal 1961,  anno in cui venne celebrato a Gerusalemme il processo all’ex SS Adolf Eichmann, ritenuto responsabile dell’omicidio di milioni di ebrei  – processo che fu seguito con attenzione dalla stampa internazionale e che vide deporre nelle aule del tribunale più di cento testimoni –  che sia il dibattito storiografico (in quello stesso anno fu pubblicata la fondamentale opera di Raul Hilberg La distruzione degli ebrei d’Europa, notevolmente accresciuta nella seconda edizione del 1985) sia quello civile sui temi della deportazione e della Shoah conobbero un nuovo slancio. Alla fine degli anni Settanta, poi, dopo lo straordinario successo negli Usa come in Europa della mini serie televisiva Holocaust, si iniziò anche a raccogliere testimonianze audiovisive sulla deportazione e nel 1994 ebbe avvio il grandioso progetto del regista Steven Spielberg il quale, dopo il film Schindler’s list, decise  di realizzare interviste a tutti i sopravvissuti e i testimoni della Shoah, motivato non solo dal desiderio di creare un immenso archivio, ma anche dalla consapevolezza del suo importantissimo valore educativo e didattico. Negli anni, la Shoah Foundation è divenuta uno dei più grandi archivi video-digitali del mondo, con le sue 52.000 video-testimonianze in 32 lingue provenienti da 56 paesi, indicizzate e ricercabili minuto per minuto attraverso 60.000 parole chiave.

Questa nuova attenzione al tema della deportazione e questa ricca documentazione ci ha posti di fronte al vuoto di memoria su cui per diversi decenni si era fondata la nostra narrazione,  costringendoci a prendere coscienza del fatto che la Shoah non era stata – come ci si era  a lungo raccontati ricorrendo al  mito autoassolutorio degli “italiani brava gente” – un increscioso incidente di percorso e che occorreva guardare al nostro passato con atteggiamento critico e senza indulgenza, consapevoli che ricordare non riguardava solo ed esclusivamente quanto era accaduto nei campi di sterminio, ma anche che cosa era avvenuto qui da noi e come fosse stato possibile.

A più di un ventennio dalla sua istituzione, il “Giorno della Memoria” – che, appunto, proprio sul valore civile e morale della memoria si fonda – sembra avere trovato un suo radicamento nel tessuto istituzionale del paese, diventando un appuntamento importante. A Novi, ormai da parecchi anni, a un momento pubblico di riflessione e approfondimento – costituito quest’anno dalla conferenza La deportazione dal Piemonte della storica Barbara Berruti, direttrice dell’Istoreto –  si affianca la cerimonia Luci della Memoria nel corso della quale si accendono lumini mentre vengono letti i nomi dei 78 deportati della zona: un modo per evidenziare che ciò di cui si parla ha lasciato tracce profonde   anche nel nostro territorio. Ricordare e recitare quei nomi, così come soffermarsi davanti alla pietra di inciampo (Stolpersteine) che in via Cavour 67 indica l’abitazione di Silvio Salomon Ottolenghi, arrestato nel giugno 1944, deportato e assassinato ad Auschwitz nell’agosto di quello stesso anno, restituisce identità a coloro ai quali il fascismo intendeva toglierla e contribuisce a mantenerne tangibilmente vivo il ricordo.

Tuttavia, per continuare a conservare memoria di quanto è successo “affinché simili eventi non possano mai più accadere”  (come recita l’articolo 2 della legge istitutiva di questa giornata), occorre – credo –  coniugarla con i nuovi linguaggi, ma soprattutto rintracciare nel tempo presente, facendo però grande attenzione a evitare il rischio della forzatura, della semplificazione e di accostamenti impropri,  esempi che ci permettano di comprendere come il  complesso di cose che ha generato quell’orrore, nel cuore dell’Europa, pochi decenni fa, possa ancora essere, sia pure  in forme diverse,  vivo e operante, dentro e fuori di noi.

Graziella Gaballo – Presidente Anpi Novi Ligure

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