Dare un senso al “far politica”

A più riprese, con me stesso e con altri, ci siamo chiesti quale potrà essere il futuro del “fare politica” e questo a qualsiasi livello. Naturalmente la previsione non è semplice anche se ci sono chiari segnali sulla direzione delle cose. 

Le parole che descrivono meglio il cammino della nostra società attuale sono “frammentazione e isolamento” e ciò in qualunque campo, a cominciare dai partiti. 
Banale a dirsi, perché è sotto gli occhi di tutti, “i grandi partiti” non esistono più, ma meno banale è affermare che questo genera instabilità. 
Da tempo le motivazioni del voto non sono più riconducibili, come in passato, a quel senso di appartenenza che si costruiva nelle sedi di partito. E’ un mondo lontanissimo, in cui ogni iscritto era responsabilizzato da un percorso decisionale, e soprattutto coinvolto nel  programma politico da seguire che lo vedeva chiamato in prima persona. 
Allora le correnti erano “gruppi di pensiero” e non “centri di potere” e questo consentiva, a seconda del tema e della fase storica, di trovarsi,  senza alcun travaglio particolare, a condividere il cammino con persone diverse, ma sempre facenti parte dello stesso partito.
Oggi questo voto, frutto dell’appartenenza, non esiste quasi più e ho qualche dubbio che i pochi elettori (tesserati) tutti, votino in modo coerente con la tessera che hanno in tasca. Un “vuoto” che ha i suoi effetti, basti pensare che oltre il 30% di chi va a votare, prende una decisione “sul cosa votare” negli ultimi giorni prima del voto. Una scelta sicuramente poco meditata.
In questa situazione si delinea una situazione preoccupante e tutti ne siamo coscienti ma tutti sembriamo come pietrificati, seduti in un angolo ad aspettare la soluzione nel “nuovo giorno”. Ma tutto rimane immutato, con un senso d’inconsistenza diffuso. 
Il partito, la casa per eccellenza del “far politica” è troppo spesso vuota, pochissimo confronto con gli iscritti per lo più ingabbiati dentro chat ormai diventate, in molti casi, la sede di “congressi e direttivi”. Votazioni on line o al telefono al pari dell’organizzazione di una partita di calcetto. E il dibattito? Il confronto? la responsabilizzazione dell’iscritto? 
Papa Francesco ha detto che “per capire il povero bisognerebbe imparare a toccarlo”. Quando si fa l’elemosina bisognerebbe provare a sfiorargli la mano, se vogliamo che quel gesto di dare l’elemosina abbia un senso pieno. Da qui l’insegnamento che se vogliamo uscire dalla triste idea, come dice sempre Papa Francesco del “vedo ma non mi coinvolgo” bisogna calarsi nel problema e i fatti dimostrano che per troppo tempo non l’abbiamo fatto.

Tutto ciò è triste, soprattutto per noi “gente di sinistra”, che da oltre 30 anni pare abbia smesso di “toccare” la sofferenza del suo popolo. Dal 1992 ad oggi è cambiato il mondo, eppure il nostro popolo, la nostra gente è sempre stata lì, sempre più sola ad affrontare due crisi finanziarie, la pandemia, la crisi energetica e infine le paure di una guerra globale. 
Mi domando cos’altro deve succedere per farci capire che quel neoliberismo, a cui troppo frettolosamente abbiamo affidato il destino di questa nostra esistenza, si è dimostrato una scelta profondamente sbagliata. 

Cosa fare? Torno sulle parole di Papa Francesco, “torniamo a toccare con mano la sofferenza del nostro popolo”. Torniamo a incrociare gli sguardi e le idee all’interno delle sedi di partito e trattiamo la diversità di pensiero come risorsa. Torniamo a programmare e ad impegnarci su politiche che siano almeno a medio termine. L’elettore deve credere nella nostra visione e non, come succede ultimamente, nel leader di turno da cambiare con la frequenza con cui ci cambiamo i calzini. Torniamo ad offrire alla politica donne e uomini capaci di creare speranza con buone idee e concretezza. 
Creiamo il pensiero che il primo valore da coltivare, all’interno del raggruppamento del centro sinistra, sia quello di costruire una casa comune, con poche regole chiare per tutti e che non renda nessuno ostaggio della coalizione. E’ la condivisione dei progetti che crea coalizione e non la paura di perdere le elezioni. 
Ultimamente ho la sensazione che, anche tra di noi, lentamente, stia calando l’ennesimo autunno della politica come già osservato per il centro destra. Noi dobbiamo interrompere questo meccanismo che vorrebbe ridurre anche il centro sinistra a contenitore dove il nostro elettore, a seconda delle fasi storiche, premia questo o quel partito di centro sinistra, alimentando quella stagnazione che ha allontanato i tanti dalla politica.

Per concludere, consapevole di ripetermi, in questo quadro drammatico, con una crisi socio economica sempre più pesante, con una destra che accentua le disuguaglianze, è da irresponsabili non comprendere che è tempo di ritornare ad essere “rifugio degli ultimi,”   che è tempo di far riporre la “speranza” nei programmi e non nei singoli soggetti, che ciò che deve prevalere è il bene comune.
Io vengo dal mondo “degli ultimi” e anche quando la vita mi ha permesso di risalire il fondo, non ho mai dimenticato il punto di partenza. Oggi, nella mia vita politica qualcosa  cambia, un sogno si è concretizzato in una delusione, ma nel mio “fare politica” l’unica “lampara”, come direbbe Zingaretti, è stata e rimarrà sempre l’insaziabile ricerca di giustizia e protezione per “gli ultimi”.   

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Pasquale Coluccio

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