Date a Cesare quel che è di Cesare

 Sera del 31 gennaio 2024. Si vedono poche macchine in movimento e quasi nessuno a passaggio per le vie del centro. La città sembra “sonnecchiare”, in attesa del giorno che verrà.  Fa eccezione Via Marconi. C’è un gran via vai all’entrata della Biblioteca civica. E già… Stasera c’è il Consiglio Comunale. 

Tra i temi in discussione c’è anche la proposta della Lega e di Forza Italia, con cui si chiede al Sindaco, alla sua Giunta e al Presidente del Consiglio di “rinunciare” all’aumento del loro stipendio, per creare un fondo da utilizzare per scopi sociali; per esempio, aiutare chi non può ad andare in vacanza. 

La questione sostanziale – a prescindere dalla legittimità della proposta sotto il profilo giuridico – non è affatto di poco conto; si tratta di un tema alquanto dibattuto e, in un contesto socioeconomico come l’attuale, dove si fa tanta fatica a far quadrare i conti, va trattato con il massimo rispetto. 
La risposta, evitando di cadere nella facile semplificazione, che sà di populismo, richiede un minimo di analisi. 

L’emolumento previsto a favore dei politici ha infatti una sua storia, che affonda le sue radici all’inizio del XX secolo. Correva il mese di giugno del 1900 quando alla Camera, per il collegio di San Pier d’Arena, fu eletto deputato certo Pietro Chiesa (nella foto); fu uno dei primi operai a entrare in Parlamento. I suoi compagni, portuali come lui, raccoglievano il denaro necessario per mantenerlo a Roma, tanto era importante che Chiesa li rappresentasse. 

Un suo collega, il deputato-contadino Pietro Abbo, socialista di Lucinasco, non disponendo del denaro sufficiente per pernottare a Roma, usufruiva del cosiddetto “permanente” rilasciato dalle Ferrovie dello Stato per dormire sul treno Roma-Firenze andata e ritorno, rientrando quindi il mattino in tempo per l’apertura dei lavori della Camera. 

Questi due deputati erano l’eccezione. All’epoca, infatti, solo chi era nobile o appartenente alla ricca borghesia poteva permettersi di sedere in Parlamento. Quando nel 1912 fu introdotta l’indennità parlamentare, Abbo poté dormire a Roma e Pietro Chiesa poté fare a meno della colletta dei compagni. 

Quello che li contraddistinse fu, più che il ceto, la grande passione che avevano per la politica, intesa come ricerca del bene comune. 

Si racconta di un memorabile discorso che, sembra, Abbo abbia pronunciato alla Camera: “Mi scuso con voi signori. I miei pantaloni non sono come i vostri. Questi sono i pantaloni che uso alle feste per andar in Chiesa, con moglie e figli. Ho solo questi. Anche il mio palar non è corretto come il vostro. Ho fatto la scuola bassa (pare si trattasse della prima elementare), perché poi son dovuto andar a lavorare nei campi. E oggi son qua perché i miei figli più grandi possono guadagnarsi da mangiare da soli. Ringrazio Dio per questo. Ma ringrazio anche queste due grosse mani. Le vedete? Grosse e piene di calli. Per questi non ringrazio Dio, ma la zappa. Mi piaceva andare a scuola; ma Borgonaro (ndr. paese dove si trovava la scuola elementare) è distante a piedi. Bisogna passare dentro il bosco e d’inverno, quando tira il vento, ti strappa la pelle dalla faccia. E poi dovevo lavorare. 
Ma no. Giacomino non deve fare la fine che ha fatto il suo papà. Giacomino è bravo; a 6 anni sa già far di conto e leggere. Piano, ma legge. Giacomino deve  fare l’insegnante. Ci vuole il treno che porti Giacomino e tutti i bambini a scuola a Borgonaro”. 

E fu così che a Lucinasco passò la ferrovia … 

Si tratta di una pagina di storia di grande significato. Passione e visione. Abbo vede il problema e offre una soluzione apparentemente semplice, che però è di grande sostanza perché migliorerà in maniera significativa la qualità di vita della sua comunità. Questo ci fa capire che la possibilità di fare politica, per chi ha passione, capacità, visione, volontà di perseguire il bene comune, deve prescinde dal ceto ed essere alla portata di tutti. 

Ecco spiegato il senso più intuitivo dell’emolumento politico; ma non è il solo. Sono molti, infatti, coloro che ritengono giusto pagare un’indennità ai politici per altri motivi, che riflettono l’importanza del loro ruolo e le responsabilità ad esso associate. 

L’emolumento ai politici ha, per esempio, lo scopo di azzerare il rischio di corruzione. Se i politici non ricevessero alcuna forma di compenso ufficiale per il loro lavoro, probabilmente sarebbero maggiormente esposti alla tentazione di ricorrere a pratiche illegali per soddisfare i propri bisogni finanziari. L’emolumento rappresenta quindi un argine (certamente non insuperabile, ma questo dipende dalla moralità della persona) contro la corruzione. 

Una misura “soddisfacente” di emolumento potrebbe inoltre attrarre alla politica professionisti o altri profili lavorativi che hanno maturato in altri ambiti (per esempio, quello privato), delle competenze importanti e che, a parità di guadagno, potrebbero mettersi a disposizione della Pubblica Amministrazione. Ciò permetterebbe effettivamente alla macchina amministrativa di essere maggiormente attrattiva e per tale via performante ed efficiente. 

Per questo motivo, personalmente, ritengo che l’indennità ai politici sia giusta e non deve essere motivo di scandalo; anzi, probabilmente, dovrebbe essere anche maggiore. 

Il problema è, piuttosto, un altro. Bisogna essere capaci di scegliere le persone brave, a cui dare questo emolumento. 

Significativa è un’intervista rilasciata recentemente da Bersani a una nota giornalista televisiva, nella quale il citato politico affermava: “Bisogna avere il coraggio di scegliere le persone brave, non quelle fedeli. Una persona fedele ti darà la sua fedeltà. Una persona capace raggiungerà i risultati e, attraverso questi, conquisterà la fedeltà degli altri”. 

Questo è forse il vero limite della politica oggi. Si scelgono quasi sempre i più fedeli, non i più bravi.  Quindi, per concludere, sarebbe giusto dare a Cesare quel che è di Cesare 

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Alessandro Reale

4 commenti su “Date a Cesare quel che è di Cesare

  1. Leggere questo articolo stamattina è stata un’esperienza piacevole.
    Un motivo piuttosto banale è che ho imparato da dove venisse l’intitolazione della compagnia “Pietro Chiesa”, che mi era ben nota, essendo genovese.
    L’altro motivo, ben più significativo, è aver potuto leggere considerazioni sensate e, direi, quasi ovvie sulle ragioni per cui è importante che i rappresentanti dei cittadini siano adeguatamente remunerati. Aria fresca, rispetto al becero populismo e qualunquismo che impestano soprattutto i cosiddetti “social”.

  2. perchè non parlar chiaro, e dire chiaramente che i politicanti che adesso fanno comunicati stampa demagogici avrebbeto potuto facilmente, nelle sue assai ben retribuite funzioni di presidenti del consiglio comunale, sindaci e seggiolai vari, quando al potere con larga maggioranza, tagliare le remunerazioni dei loro stessi amici e di se stessi quando potevano? Perchè non dire che quando si fa ammuina in un consiglio comunale, solo per mera propaganda per prendere in giro i cittadini, si aumentano a dismisura i gettoni di presenza dei consiglieri medesimi e i costi a carico dei cittadini?
    Perchè non chiedersi perchè i medesimi alti dirigenti dei partiti al potere non hanno mai battuto ciglio quando il loro benefattore e capo storico, che essi non cessano di glorificare, ha messo a carico dei cittadini italiani, con prebende, vitalizi e costi ben maggiori rispetto agli spiccioli di un consiglio comunale igieniste dentali, ballerinette, amici vari senza arte né parte, di cui molti di dubbia reputazione? Avete idea di quanto ci costino certi subappalti alle mafie, o intere famiglie sugli scranni di governo, o treni dirottati ad uso personale, le guerre dei ministri a provvigione dall’industria degli armamenti?
    Coraggio, Italia, si cominci a parlare chiaro e a pretendere informazione in luogo di propaganda.

  3. Leggo con piacere quanto scrive il mio amico e collega Alessandro. Mi permetto due considerazioni: una di carattere formale legata alla necessità di essere maggiormente concisi per essere più efficaci, l’altra sul contenuto.
    E’ vero che la politica deve saper scegliere le persone brave, piuttosto che quelle fedeli, ma – aggiungo- questo spesso non basta.
    In politica è richiesto sempre maggiore coraggio e azione disinteressata nell’interesse comune.
    Il coraggio di non pensare solo alle prossime elezioni, ma al futuro delle prossime generazioni, con il supporto non della demagogia, ma del senso di responsabilità, contrastando tutte le forme di esercizio opaco del potere.

  4. Chiedo per un amico: e dove sarebbero le persone ‘brave’ da remunerare? Quando assisto alle sedute del consiglio comunale mi sembra un manicomio.

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