Niente estranei nei luoghi dove si protegge la salute delle donne

L’aborto in Italia, sino all’approvazione della legge 194 “norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza” del 1978, era considerata una pratica illegale e fino al 1971 parlare di contraccezione era un reato (anche solo parlarne!).

i casi all’anno stimati di aborto clandestino erano tra 200.000 e 600.000 ; stima difficile, come per tutte le pratiche clandestine; ancora più difficile stabilire la mortalità e la morbilità legate a queste pratiche, spesso effettuate in condizioni pericolose, soprattutto per chi non poteva permettersi una clinica sicura, in Italia o all’estero, creando un’odiosa discriminazione di censo sulla pelle delle donne. Dobbiamo ricordarcelo: in Italia, per interrompere la gravidanza, dilagavano personaggi privi delle adeguate competenze e alcuni ginecologi, i “cucchiai d’oro” si arricchivano sulla disperazione delle donne.

La 194/1978 si è dimostrata una buona legge. I dati trasmessi al Parlamento ci dicono che nel 2021, sono state effettuate 63.653 interruzioni volontarie di gravidanza, (-4,2% rispetto al 2020); rispetto al 1982, anno di massima incidenza del fenomeno con 234.801 interruzioni, la riduzione degli aborti raggiunge il 72,9%, confermandosi in continua diminuzione

Questa è la storia della 194 in breve, cosa sta succedendo oggi? Non potendo per ovvie ragioni politiche, cancellare la legge, questo governo cerca in ogni modo di complicare, come se non ce ne fosse bisogno visti gli alti tassi di obiezione di coscienza degli operatori sanitari, l’accesso a questo diritto da parte della donna.

È stata approvato un emendamento che prevede la presenza di associazioni antiabortiste nei consultori. È già accaduto in alcune realtà, nel Lazio, ad esempio e in Piemonte che ha tra l’altro stanziato una posta di 400.000 E per supposti “aiuti” alla maternità per le donne che intendono abortire, fino ai 18 mesi, e dopo? E’proprio vero, a una certa morale interessa solo come si nasce e come si muore; quello che sta in mezzo è un dettaglio. Aggiungerei l’art.3 della legge, a proposito dei “consulenti” pro-life.

Il personale di consulenza e di assistenza addetto ai consultori deve essere in possesso di titoli specifici in una delle seguenti discipline: medicina, psicologia, pedagogia ed assistenza sociale, nonche nell’abilitazione, ove prescritta, all’esercizio professionale”.

Risponderanno a questi requisiti? Vedremo. Ancora una volta un provvedimento che vuole umiliare le donne, vuole farle sentire colpevoli.

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Concetta Malvasi

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