Quando la Val Borbera doveva diventare un grande lago

La Val Borbera avrebbe potuto essere profondamente diversa da quella che conosciamo, se non fosse scoppiata la seconda guerra mondiale. Non più una valle amena e un po’ dimenticata, ma un grande lago lungo oltre 7 chilometri, che sarebbe arrivato a lambire l’abitato di Cabella Ligure, il centro principale della valle. 

Il progetto di realizzare un grande invaso sfruttando la conformazione della valle, lunga e stretta, che avrebbe consentito di posizionare una diga a Pertuso, dove i contrafforti alpini si stringono sul torrente Borbera, è stato accarezzato a partire dalla fine dell’800. Ma fu nel 1939 che si arrivò alla stretta finale. 

In base alla stampa dell’epoca, la popolazione di Rocchetta Ligure salutò con scene di esultanza e giubilio la notizia che il loro paese, di lì a pochi anni, sarebbe finito nel punto più profondo del lago di Pertuso. Nel maggio del 1939 Benito Mussolini approvò il progetto presentato dal Marchese De Cavi di Genova, presidente della “Società Anonima industrie minerarie ed elettriche” e della “Società anonima irrigazione Frascheta”. 

L’arrivo delle guerra scongiurò la realizzazione della diga di Pertuso, alta 80 metri, che avrebbe formato il più grande lago artificiale del tempo, con la capacità di 115 milioni di metri cubi di acqua. 

In fondo al lago sarebbero rimasti tre paesi: Rocchetta Ligure, Cantalupo Ligure e Albera Ligure, con molte delle loro frazioni. Si prevedeva la ricostruzione dei tre centri, che si sarebbero chiamati come prima ma con il suffisso “nuova” al posto di Ligure, in posizione più elevata e “più salubre”. 

Il primo disegno del lago di Pertuso risale al 1868, proposto dall’ingegner G.B. Rivera. L’obiettivo era di poter irrigare con le acque raccolte la Fraschetta, compresa nel triangolo tra Pozzolo, Tortona e Spinetta, dando così impulso alla produzione agricola. Il progetto ottenne nel 1869 il Regio Decreto di concessione, ma non se ne fece nulla: i mezzi dell’epoca non erano sufficienti per un’opera così ardita. Accantonato in attesa di tempi migliori, nei primi anni del XX secolo venne aggiornato dall’ingegnere capo della provincia di Alessandria C. Riviera, figlio del primo ideatore. 

Il nuovo progetto viene adeguato ai tempi e alle scoperte: il nuovo lago non servirà solo per irrigare la pianura, ma anche per produrre energia elettrica, il cui bisogno nazionale sta rapidamente crescendo. 

Nel 1938 la già citata Saime fa produrre un opuscolo, di cui sono entrato in possesso, che entra nel dettaglio dell’opera, con tanto di mappe e disegni dei manufatti. La grande opera piace anche al ministero della Guerra: il lago, posto a 480 metri di quota sul mare, può diventare la base per gli idrovolanti posti a difesa del porto di Genova, che è a soli 30 chilometri in linea d’aria. Si prevede la costruzione di hangar scavati nella roccia viva per la massima protezione degli aerei in caso di bombardamenti. 

Le centrali elettriche, costruite in caverne, produrranno 113 gigawatt di energia elettrica all’anno. Da Pertuso, dopo aver fatto girare le turbine, le acque andranno ad irrigare tutta la piana, rendendola fertile tutto l’anno senza dover temere la siccità estiva. 

Si esaminano anche i benefici che si avranno dalla cancellazione di Pertuso, Rocchetta e Albera: “la sommersione di questi agglomerati di tuguri di antica costruzione, angusti e antigienici, ove spesso si annida lo spettro della tubercolosi, permetterà la risurrezione di tre nuovi paesi, in posizioni salubri e ridenti”. La stampa dell’epoca dà conto della felicità dei Rocchettesi, alla notizia arrivata da Alessandria della distruzione del paese. 

Ma non basta: la costruzione del lago avrebbe portato in valle villeggianti, trasformandola in una attrazione turistica, e nelle acque si sarebbe avviato un proficuo allevamento ittico. 

Il corso della storia ha sventato la realizzazione del grande lago di Pertuso. Ma il progetto avrebbe potuto “reggere”, o ci saremmo trovati davanti al rischio di un altro Vajont? 
Secondo Irene Zembo, geologa e profonda conoscitrice della valle, le montagne che la costeggiano non sono così salde come sembrano. «Si tratta di una formazione nota come il “Conglomerato di Savignone”, una roccia sedimentaria risalente all’oligocene, che nella valle presenta fratture molto profonde. Non il massimo per la stabilità». 

Le analogie con il Vajont sono molte: un invaso di dimensioni simili (115 milioni di metri cubi il lago di Pertuso, 155 il Vajont), una grande diga a chiudere una stretta valle, una montagna fragile, la presenza di numerosi centri abitati a valle della diga. Borghetto Borbera e gli altri paesi di fondovalle avrebbero rischiato di fare la fine di Longarone? 

Non se ne fece nulla. Ma resta la curiosità di immaginare quale sviluppo avrebbe avuto la valle, se al posto delle “strette” tra cui scorre il torrente, avessimo avuto un grande lago. 

Ma che fine fece la Saime, società del Marchese De Cavi? Il nobile era, all’epoca, una delle personalità più in vista del mondo economico genovese: proprietario dell’Antico Banco De Cavi, aveva attività nel settore manifatturiero, agricolo e nell’editoria. La sua fortuna finì nelle mani del nipote Giannetto, che si convinse nel dopoguerra ad investire tutti i suoi beni in miracolose fiale che avrebbero curato cancro e tubercolosi, la cui formula gli veniva dettata direttamente da Gesù durante mistiche visioni. Dilapidò tutta la fortuna, e finì in carcere nel 1958. 

La centrale sotterranea di Brotte
La diga di Pertuso
Il punto in cui sarebbe sorta la diga

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andrea vignoli

Giornalista, scrittore, insegnante.

7 commenti su “Quando la Val Borbera doveva diventare un grande lago

  1. Gigawatt all’anno ? Tutt’al più gigawattore. La centrale non era ai piedi della diga ma a pian della Botte (con un salto molto più alto). Inoltre giustamente nel titolo del progetto si parla di “frascheta” e non di “fraschetta” come si tende a dire adesso, vista l’origine del nome.

  2. Articolo molto interessante. Mi piacerebbe sapere se esistono pubblicazioni in merito.

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