La cronica crisi dell’ex Ilva

Se c’è una certezza nel nostro paese è l’incapacità di risolvere problemi complessi, ma non che con quelli semplici siamo dei fenomeni. Purtroppo  siamo dei fenomeni  nel  posticipare, nella speranza che si risolvano  in qualche modo da soli o che comunque  se ne  occupi  qualcun’altro.

Nel  comparto  del lavoro che da tempo remoto si verificano le situazioni più  complesse e in apparenza irrisolvibili. Tanto  è vero che le retribuzioni stagnano, addirittura diminuiscono in un contesto di striscianti aumenti che riducono la qualità della vita.
Naturalmente per la media e bassa borghesia per non parlare delle condizioni di chi è nella soglia della povertà o  in quella assoluta.
Da queste condizioni, sono escluse, quasi fosse  un diritto divino, le classi dirigenti, i boiardi di stato, l’apparato politico e tutte  quelle categorie che riescono a scaricare sul prossimo i costi e le retribuzioni faraoniche. Gli esempi sarebbero tantissimi, vale per tutti la possibilità di curarsi, se non si ricorre a visite specialistiche con dei costi talmente esosi che è necessario ricorrere a  un mutuo per farvi fronte.

Ma non è su questo che si vuole porre l’attenzione ma sulla problematica ex Ilva, di cui anche il nostro Consiglio Comunale ha ritenuto necessario  discuterne in seduta pubblica, ritenendo  l’attuale situazione di crisi   direttamente  coinvolgente al benessere economico cittadino.

Va dato merito al sindaco Rocchino Muliere per l’impegno, perfino commovente, per averne seguito le vicende nella capitale, partecipando al vertice  con i capi di gabinetto dei ministeri competenti e di  quello della presidenza del consiglio.  Sembra che sia stato l’unico sindaco a prendervi parte e, purtroppo,  i risultati sono stati deludenti se non addirittura disastrosi. Obiettivamente, visti i trascorsi,  non poteva essere altrimenti.

I problemi dell’acciaieria Italiana, vengono da lontano, sono cominciati da quando era una fiorente impresa   “Italsider”, al top dell’industria europea dell’acciaio, fiore all’occhiello di quella Italiana, ambita dai boiardi di nomina politica che garantiva principesche retribuzioni e se le capacità non erano all’altezza, non era un requisito determinante.

E’ venuta a mancare la gestione programmatica e il continuo adeguamento all’evoluzione dei tempi, sia nella tecnica di produzione sia nell’adottare idonee procedure alla riduzione dell’inquinamento, delle polveri sottili e di quelli pesanti,  sottoponendo a  serie problematiche di salute la popolazione e le maestranze. La non accurata  gestione economica produceva  un continuo passivo che veniva scaricato sulla fiscalità generale.

Sotto l’influenza di una politica  marcatamente neoliberista, prendeva forma la decisione di cedere l’acciaieria al privato che, nelle intenzioni, la doveva sanare, riqualificarla,  garantire l’occupazione  e naturalmente produrre utili. Le ragioni che si prospettavano erano  certamente nobili, ma non tenevano conto di quello che è lo spirito di comportamento che è alla base dell’impresa privata: “il profitto al minor costo”.

Se nel pubblico il profitto è un aspetto in relazione al concetto che il denaro di tutti è come il denaro di nessuno; nel privato il concetto si inverte: il denaro è mio e lo impiego solo se da  profitto.

Stanno tutte qui le difficoltà dell’emerita acciaieria Italiana, ceduta con poca attenzione , alla  gestione  Riva, e nonostante  la disastrosa  evoluzione, si permetteva l’acquisizione alla multinazionale  Acelor Mittal, Francese Indiana. 

Quest’ultima,  non si differenzia molto dalla precedente, il suo obiettivo non è la condizione delle maestranze ma realizzare il massimo profitto, scaricando i costi, soprattutto contro l’inquinamento sul pubblico  e non solo: poiché, il lavoro nel suo complesso ha un costo di molto superiore a società di paese emergenti, la loro azione è di estrapolare  il meglio e trasferirlo dove è garantito il massimo   vantaggio.

Naturalmente a discapito dell’organizzazione del lavoro che così come viene concepito e come  realizzato, appare decisamente superato, in quanto produce uno squilibrio di remunerazioni tra le componenti che ne consentono l’esecuzione.

Il profitto tra: “ il capitale, l’impresa e le maestranze” sono divergenti, è possibile solo comprimendo le aspettative degli altri e  non può esserci armonia d’intenti in quanto i vantaggi degli uni vanno a discapito degli altri.  Nel mondo globalizzato, nel quale l’industria è diventata una merce commerciale, le incongruenze  si sono acuite in modo esponenziale e  incontrollato.

Allo stato attuale. l’ex Ilva ha una sola possibilità, che lo stato acquisisca la maggioranza della proprietà,  la sottoponga a una completa riorganizzazione, e la gestisca in modo nuovo, creando quelle condizioni di equa armonia tra i componenti.  

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Francesco Giannattasio

Un commento su “La cronica crisi dell’ex Ilva

  1. Mio padre lavorava in ferrovia, parliamo degli anni 70. Ogni 27 del mese quando arrivava la busta paga erano bestemmie politeistiche. Il fatto era che a parità di mansioni all’Italsider guadagnavano quasi il doppio. Tant’è che si potevano permettere il mutuo, la casa di proprietà e con la terza media passavano ben presto negli uffici con trattamenti ancora migliori. L’Italia in generale “produceva”.
    Quei tempi sono, rendiamocene conto, tristemente finiti. Con le privatizzazioni si è passati ben presto dalla produzione alla finanza. Oggi è da chiedersi se abbia ancora un senso la siderurgia in Italia, se si debba ancora ridurre ad un cimitero un golfo come quello di Taranto, forse tra i più belli del mondo, o se per esempio in un territorio come quello novese che ha grandi capacità nell’industria “di mezzo” quella che poco inquina, che produce e che soddisfa i lavoratori (il dolciario ne è un esempio); il rischio è quello di sperare in ristrutturazioni industriali che se anche fossero sarebbero lontane nel tempo.
    Un plauso va comunque al Sindaco che “unico” tra i suoi colleghi dimostra se non altro la vicinanza delle istituzioni di cui i lavoratori hanno bisogno.

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