Aias: c’erano un volta tre fatine…

C’erano una volta tre fatine, anzi no, tre fisioterapiste e un gruppo di bambini… Ecco la storia dell’A.I.A.S. nelle parole di Grazia, Paola e Pinuccia, la Presidente…

Erano gli anni ’80 quando Grazia, Paola e Pinuccia iniziarono a lavorare come fisioterapiste all’ospedale di Novi. «Possiamo definirci delle pioniere», dicono. «All’epoca non esisteva neanche il reparto di Fisioterapia, eravamo sotto la Radiologia. La riabilitazione era ai suoi albori, ma l’entusiasmo era grande: avevamo l’impressione di svolgere un lavoro straordinario. In quegli anni la riabilitazione era fine a sé stessa, mentre noi pensavamo che dovesse avere come obiettivo finale l’autonomia della persona. Fortunatamente molti altri la pensavano come noi, e così, piano piano, la riabilitazione si è trasformata in uno strumento per rendere migliore la vita delle persone».

Noi giovani fisioterapiste, con un gruppo di bambini da seguire, tra cui Simone, Salvatore e Andrea, abbiamo creato un legame fortissimo con quelli che ormai erano ragazzi. Quando è giunto il momento di andare in pensione, dice Pinuccia, “ho pensato: e ora finisce tutto così?”. C’era qualcosa di sbagliato. L’idea di fondare un’associazione, coinvolgendo nel progetto Grazia, Paola, Simone e Salvatore, nasce da un’amicizia profonda che voleva andare oltre le sedute di riabilitazione, aprirsi al mondo e alla vita.

Nel 2011 nasce a Novi un distaccamento dell’A.I.A.S. di Alessandria, che nel 2015 diventa autonomo e, nel 2021, per adeguarsi al nuovo regolamento del Terzo Settore, si trasforma in A.P.S.

Pinuccia racconta come tutta la parte burocratica sia stata complicata e faticosa, mentre il risvolto umano è stato molto semplice. Le famiglie erano entusiaste, dice Paola: si fidavano di noi, ci lasciavano i loro figli e questo rendeva più semplice anche la loro vita. “Vi ricordate le prime gite?” ride Grazia. “In Toscana, su e giù con le carrozzine, per quelle vie strette con i sampietrini. Poi, in udienza da Papa Francesco: che emozione vedere i ragazzi, che solo poco tempo prima facevano fatica a uscire di casa, ridere e divertirsi insieme”.

Il nucleo storico dell’A.I.A.S. si è arricchito, dicono le tre signore, non solo di ragazzi, ma soprattutto di altri volontari. Pinuccia sottolinea che senza i volontari non avrebbero potuto fare nulla. “Il loro apporto è fondamentale”, ribadiscono Grazia e Paola, “così come quello delle famiglie e dei ragazzi”. È proprio grazie a questo spirito di reciproco aiuto e di solidarietà che abbiamo potuto portare a termine progetti importanti, come quello della piscina accessibile e del teatro. Quest’ultimo ha segnato una svolta per tutti noi. Pinuccia sorride ripensando a quando lo proposero ai ragazzi: “Ci hanno guardato con gli occhi sgranati, scuotendo la testa e dicendo: ‘Non saremo mai in grado di fare uno spettacolo teatrale!’“. E invece ci sono riusciti, dice con orgoglio Paola. Sono anni che presentiamo spettacoli molto apprezzati e quest’anno abbiamo debuttato al teatro Marenco, ottenendo un successo strepitoso: teatro pieno e una fila di gente che arrivava fino a metà di via Girardengo.

“Il rapporto con i ragazzi è sempre stato di supporto e amicizia”, dice Grazia, “mai di compassione. Quando è il caso, li ‘cazzio’ anche”. “Noi li chiamiamo ragazzi”, continua, “ma in realtà ormai sono uomini e donne. La fiducia che siamo riusciti a instillare in loro li ha portati ad avere una buona autonomia. Molte volte si organizzano da soli per andare al cinema o a mangiare una pizza. Il mercoledì, giorno in cui ci incontriamo in sede”, continua Grazia, “si passano a prendere e vengono da soli”.

Pinuccia vuole ringraziare Don Giuseppe, nostro sostenitore fin dall’inizio, grazie al quale abbiamo sempre avuto una sede. Alcuni dei nostri ragazzi sono riusciti a trovare lavoro, dice Paola. “Importante”, sottolinea Pinuccia, “è l’ottimo rapporto con il C.S.P. Uno dei nostri ragazzi è entrato nel progetto ‘Dopo di noi’, progetto di fondamentale importanza, perché i genitori invecchiano, anche se è molto difficile far comprendere alle famiglie che per il bene dei figli devono staccarsi da loro e trovare un luogo adatto a sostenerli quando si troveranno soli”.

Le tre signore concordano che oggi chi si occupa di disabilità lo fa con grande professionalità, ma troppo spesso senza cuore. “Abbiamo l’impressione”, dicono, “che negli ultimi anni si sia tornati indietro e oggi si cerchi di recuperare. Frasi come ‘diversamente abile’ o, peggio, ‘con abilità diverse'”, sottolinea Pinuccia, “sono ridicole. Ci vogliono fatti. Le persone con delle difficoltà vanno supportate stando al loro fianco, facendo un percorso insieme, con obiettivi chiari: autonomia, affinché acquisiscano fiducia in loro stessi; socializzazione, per fare in modo che possano vivere una vita il più possibile serena. Questo si ottiene dando loro dignità e rispetto”.

Le tre fisioterapiste, che si definiscono “stagionate”, sembrano avere le idee molto chiare e una mentalità molto più aperta di tanti giovani, che davanti alla disabilità si spaventano e girano la testa dall’altra parte. Sarà per questo che sono riuscite a creare un sodalizio che dura ormai da più di dieci anni, e che sono adorate sia dai volontari che dai ragazzi e dalle loro famiglie. L’A.I.A.S. si fonda sull’amicizia e sul piacere reciproco di stare insieme. Questa è la lezione che dobbiamo apprendere dai volontari, dalle famiglie e dai ragazzi di questa straordinaria associazione.

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Enrica Bosio

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